IDEE IN PSICHIATRIA vol. 5 (1) 2005
Riassunto: Viene inquadrata la personalità carismatica, per quanto attiene alla Psichiatria ed alla Psicoterapia. Il carisma, che vuol dire dono o grazia, può essere una qualità dell’oggetto ma anche un’attribuzione di capacità straordinarie da parte di altri nei confronti di uno. L’esempio fittizio che viene prodotto consiste nell’ipotesi che qualcuno degli specializzati in Psicoterapia abbia le prerogative di una personalità carismatica e sia in grado di suscitare intorno a sé l’adesione di centinaia e centinaia di persone, sulla carta libere e consapevoli, svolgendo una relazione di gruppo che non avrebbe nulla da invidiare alle vicende dei profeti presunti o reali di tutte le epoche. L’influenza interpersonale positiva, frutto della relazione carismatica non ha niente a che vedere con il vero intervento terapeutico. L’influenza è il frutto di una relazione tripartita tra psicoterapeuta carismatico, i suoi discepoli e i suoi seguaci.
Il metodo che seguiremo per esporre il nostro tema è quello interattivo e intersoggettivo. Ci sentiamo di prendere le distanze da tutti gli studi personologici che tendono all’evidenziazione di un tipo, per poi approfondirne le caratteristiche fenomenologiche ed intrapsichiche.
Pensiamo, infatti, che la considerazione di elementi singoli sia inscindibile dalla relazione tra loro, per cui applicheremo questa idea nella trattazione che segue, tenendo conto di una configurazione unitaria, così come è possibile osservarla nella realtà.
Sappiamo che il carisma, come dice Max Weber, si basa “sulla convinzione emozionale dell’importanza e del valore di una manifestazione di tipo religioso, etico, artistico, scientifico, politico o di qualsiasi altra specie, sul carattere eroico dell’ascesi o della guerra, della saggezza giudiziaria, della virtù magica o di qualsiasi altro tipo.” (Weber, 1922).
Data, quindi, la multiformità delle espressioni carismatiche, concentreremo la nostra attenzione su ciò che è più attinente alla nostra materia, ossia sul carisma in Psichiatria e in Psicoterapia.
Il termine carisma
Prima di valutare le caratteristiche della personalità carismatica, ci soffermeremo sul termine carisma, partendo dal significato etimologico, che vuol dire dono o grazia, e sottolineando due modi di intendere il concetto, tra i quali si stabilisce un’oscillazione continua, a testimonianza dell’importanza del punto di vista individuale o di quello interattivo che viene di volta in volta applicato.
Infatti, “da un lato, il carisma è trattato genericamente e oggettivamente come una qualità straordinaria propria soltanto di pochi oggetti o individui qualificati; dall’altro lato, è inteso più specificamente come una forza in grado di produrre e sostenere una particolare relazione sociale e di potere.” (Tuccari, 1991)
Nel primo caso, quindi, il carisma è, per dirla con Weber, “un dono prettamente inerente all’oggetto o alla persona che lo possiede per natura…oppure può essere artificialmente procurato all’oggetto o alla persona in virtù di qualche mezzo senz’altro straordinario” (Weber, cit.), ovvero si tratta di una qualità oggettiva che è posseduta indipendentemente dal senso intenzionale che gli uomini vi attribuiscono.
Nel secondo caso, invece, si tratta, aggiunge Weber, di una “qualità considerata straordinaria che viene attribuita a una persona. Pertanto, questa viene considerata come dotata di forze e proprietà soprannaturali o sovrumane, o almeno eccezionali in modo specifico, non accessibili agli altri, oppure come inviata da Dio o come rivestita di un valore esemplare e, di conseguenza, come duce.” (ivi)
L’oscillazione tra questi due punti di vista ci conduce direttamente al cospetto della personalità carismatica. Possiamo già cominciarci a chiedere: esistono in sé quelle qualità straordinarie che il soggetto gestisce, oppure qualcosa da noi è partita come un lampo e ha dato a chi ci sta di fronte la possibilità di brillare di luce non propria, fino a dominarci con i suoi poteri straordinari?
La personalità carismatica in Psichiatria e Psicoterapia
Entriamo ancor di più nel nostro tema, e non trascuriamo il fatto che di fronte a noi c’è uno psichiatra o uno psicoterapeuta, ossia una persona qualificata all’introspezione e al superamento delle nostre maschere e quindi degli aspetti esterni della personalità.
La psicoanalisi, concettualizzando il transfert e le sue applicazioni in psicoterapia, ci ha dato modo di capire come si svolgono i condizionamenti e le influenze che avvengono nello spazio terapeutico del setting.
Tuttavia, pur comprendendo l’importanza del transfert in tutte le relazioni e in quella terapeutica in particolare, vogliamo capire quando una relazione finisce di essere terapeutica e diventa esclusivamente carismatica.
Sappiamo, infatti, come ci illustra Ellenberger, che la psicoterapia moderna ha una base comune che inizialmente si riconosce nello sciamanismo, poi nell’attività dei guaritori religiosi e in seguito nel grande capitolo dell’ipnosi e della suggestione.
Anche Freud era contento di avere strappato, per gran parte, il suo metodo alle influenze suggestive, da lui stesso sfruttate negli anni precedenti.
Da Freud in poi, possiamo dire, lo psicoterapeuta moderno rifiuta il carisma per avvicinarsi a qualcosa che corrisponde alla relazione condivisa e interattiva, nella quale la dipendenza dall’altro dovrebbe durare fin tanto che dura l’ignoranza del paziente sulle proprie dinamiche interne e interpersonali.
Al momento attuale della ricerca in psicoterapia, però, si è consolidata l’esigenza di tener conto anche delle qualità emotivo-affettive della relazione, ovvero di ciò che interviene di non verbale e interattivo e fa sì che assumano importanza quegli elementi della relazione che escludono la parola e agiscono in modo totalmente inconscio. (Beebe e Lachmann, 2002)
Ciò richiama in primo piano la quota carismatica presente nelle psicoterapie in genere e la necessità di stabilire un impianto metodologico che consenta di distinguere un intervento terapeutico da un’influenza interpersonale buona o cattiva.
Il problema dell’efficacia delle psicoterapie e della dimostrabilità dei risultati è all’ordine del giorno ma, purtroppo, non ancora risolto.
La stessa psicoanalisi ha dovuto piegarsi alle esigenze della ricerca e, in base a risultati ormai inconfutabili, ha dovuto ridimensionare concetti come il narcisismo primario, l’autismo infantile, la neutralità dell’analista etc., nati sulla base di inferenze e speculazioni non dimostrabili.
Anche in campo neurobiologico si sono dovuti abbandonare assunti pregiudiziali inutilmente riduzionistici.
Solo a sfogliare la pubblicistica psichiatrica e psicologica di trent’anni fa, apparirebbe chiara l’incongruenza tra teorizzazioni di segno opposto, biologico e psicologico, senza alcuna possibilità di incontro o mediazione.
Il riduzionismo biologista ha ottenuto effetti negativi, appiattendo la ricerca su inutili valutazioni unilaterali del substrato organico, giustificando spesso l’esclusione del fattore umano e psicologico negli interventi medici. (Lago, Petrini, Balbi, 2003)
Il riduzionismo psicoanalitico ha giustificato la creazione di impianti metapsicologici, nati, a partire da Freud, come costruzioni ipotetiche sovrapposte alla realtà, ma finiti per essere equiparati alle conoscenze oggettive, spesso in funzione della suggestione dei concetti e del sostegno ricevuto presso un’opinione pubblica chiamata ad esprimere il proprio gradimento su aspetti teorici e interpretazioni della realtà psichica, attraverso un’adesione pubblicitaria o culturale, come se si trattasse di esprimersi su un prodotto industriale o su di una idea politica e amministrativa.
Mass-media e carisma
Quello che nel campo della medicina è molto difficile, ossia affidare ai mass media il richiamo verso un metodo di cura anziché un altro, è stato possibile in Psichiatria e Psicoterapia e in parte lo può essere ancora, se gli ordini professionali rinunceranno alla funzione di garanzia del comportamento corretto dei loro iscritti. ( Lago e Petrini, 2002)
Uno dei grandi meriti della legge Ossicini del 1989 è stato quello di creare una linea di demarcazione tra il carisma professionale usato a fin di bene con cognizione di causa e il carisma spontaneo e truffaldino dell’ambiente magico, finalmente impossibilitato ad usare lo strumento psichico, come ad esempio ancora accade in Francia, per confondere coloro che cercano aiuto psicologico.
Tuttavia, non abbiamo ancora risposto alla domanda iniziale sull’esistenza o meno di qualità straordinarie in una personalità carismatica, e se tale condizione giustifichi il potere che da questo deriva su un numero imprecisato di persone.
Constatiamo che la legge Ossicini ha stabilito che solo i possessori di una laurea in Psicologia e in Medicina, legittimati all’esercizio della Psicoterapia, hanno il diritto di influenzare gli altri ai fini di cura.
Facciamo, però, l’ipotesi che qualcuno dei legittimati abbia le prerogative di una personalità carismatica e sia in grado di suscitare intorno a sé l’adesione di centinaia e centinaia di persone, sulla carta libere e consapevoli; assisteremmo, sotto ai nostri occhi, allo svolgimento di una relazione carismatica che non avrebbe nulla da invidiare alle vicende dei profeti presunti o reali di tutte le epoche.
La legge Ossicini, sappiamo, non va a sindacare se l’influenza terapeutica debba essere impiegata su un numero limitato di persone.
Stante la mancanza di esiti negativi, denunce o incidenti di altra natura, uno psicoterapeuta legittimato potrebbe, ad esempio, applicare una tecnica di intervento di gruppo su più di duecento persone per volta, e nessuno gli chiederebbe conto né del metodo né dell’influenza esercitata da una sola persona su tanta gente.
Prima ancora di Bion, che ha evidenziato l’assunto di base dipendenza nella mentalità spontanea dei gruppi, già Max Weber riconosce che “chi è considerato in possesso di – forze e proprietà soprannaturali o sovrumane – è riconosciuto immediatamente e di conseguenza come duce”.
Nulla impedirebbe, quindi, a uno psicoterapeuta che fosse capace di instaurare con un folto gruppo una relazione carismatica, di ottenere riconoscimenti e dedizione incondizionata, proprio a causa della prova o conferma delle proprie qualità carismatiche, consistente nel fatto che esse apportano un diffuso benessere ai dominati (Tuccari, cit.).
Il problema è qui: nel diffuso benessere che i dominati traggono dalla relazione carismatica. Si tratta, infatti, di influenza interpersonale positiva, in quanto non è valutabile con i metodi di verifica riconosciuti né fa riferimento a tradizioni e scuole di pensiero comparabili, o con le quali si possa stabilire una continuità di metodo e di ricerca.
Non possiamo, quindi parlare di intervento terapeutico, poiché il carisma viene gestito dal singolo in modo profetico, ossia si avvale di una modalità mai sperimentata, contrapponendosi ad ogni regola conosciuta e ad ogni corretta dimostrazione, sulla base di un autoriferimento che si esprime nel seguente precetto fondamentale: - è scritto, ma io vi dico -.
Il carisma profetico si basa sull’enunciazione del nuovo assoluto e sull’evocazione del mai visto e mai sentito prima.
La personalità carismatica, sicura di sollevare questioni dibattute e mai risolte, si espone, mettendosi in primo piano e facendo affermazioni azzardate, col piglio di un Savonarola o di un Erasmo da Rotterdam.
Le parole cura, guarigione, sanità, malattia, aleggiano nell’aria ben scandite, per condensarsi apoditticamente sulle coscienze dei dominati, stanchi di girovagare alla ricerca di aiuto con le loro angosce e depressioni.
Il carattere autoritario di questo carisma profetico si manifesta anche nel dare l’impressione di non considerare decisivo il consenso delle numerose persone giunte da ogni dove alla ricerca di un capo, o di un padre, come disse Lacan dei giovani del Sessantotto francese.
Lo psicoterapeuta carismatico
Lo psicoterapeuta carismatico, che stiamo delineando in ipotesi, dunque, “esige autorità in conseguenza della sua rivelazione personale ed in virtù del suo carisma.” (Weber, cit.).
Forte della libertà e del diritto di parola, il nostro scavalca gli steccati culturali e le pastoie accademiche per finire sui teleschermi o sulle pagine dei giornali a raccontarci il prodigio e la straordinarietà del suo pensiero.
Non importa che di pensiero ci sia poco ma di enfasi tanta; non importa che la sua “arte della parola” riesca a valorizzare concetti e idee mediati da altri per poi spacciarli come propri, oppure inventare facili e suggestive soluzioni di problemi che durano dalla notte dei tempi.
La parola di una personalità carismatica è efficace e suadente come il piffero del suonatore di Hamelin; i suoi libri sono pronti a invadere il mercato e prendere il posto nella vita della gente dei vecchi vangeli, dimenticati in soffitta dalla cultura mediatica.
Max Weber dice che una “vocazione personale” separa il profeta dal sacerdote, in quanto quest’ultimo agisce in nome della tradizione.
Tradotto nei termini della nostra ipotesi, si potrebbe dire che la ribellione all’ortodossia compaia presto nel percorso carismatico e si manifesti nella opposizione frontale contro l’establishment da parte di uno psicoterapeuta il quale, stanco di doversi misurare con quanti hanno studiato e lavorato prima di lui, si ribella e si allontana dall’ambiente culturale che studia e lavora accanto a lui.
- E’ scritto, ma io vi dico – ripete il nostro personaggio fittizio, aggiungendo, ad esempio, frasi del genere: la malattia mentale si può curare se applicherete il mio metodo; nessuno prima di me ha mai capito nulla della realtà psichica; non c’è niente da capire con la ragione, ma da sentire innanzitutto immediatamente; secoli di ricerche filosofiche e mediche hanno ignorato ciò che io, senza l’aiuto di nessuno ho scoperto; la natura della mente umana, delle relazioni interpersonali, delle discese e delle risalite del cuore umano, mi sono note da tempo; io solo e nessun altro ha il potere di interpretare ciò che la mente umana produce, come i sogni, le fantasie, le opere d’arte.
La nostra ipotesi che possa esistere un personaggio del genere, per quanto irreale, è tuttavia verosimile.
Che cosa impedirebbe a un laureato in medicina e psicologia, specializzato in psichiatria o in psicoterapia, di balzare sulla scena mediatica grazie al carisma e gestire per anni il potere derivato da una consacrazione autoreferenziale a genio e scopritore della cura per eccellenza dei disturbi mentali?
Pensiamo che, al momento, l’unico impedimento sia la struttura di personalità, ovvero che la vocazione personale di cui parla Weber consista in tratti di personalità narcisistica che, appena un secolo fa, avrebbero spinto il soggetto in questione verso la carriera mistico-religiosa e oggi permettono al medesimo di parlare in nome della Psichiatria e della Psicoterapia.
Tuttavia, non possiamo ignorare, come abbiamo premesso, il livello interattivo del carisma, ossia quella che possiamo definire la relazione tripartita tra psicoterapeuta carismatico, i suoi discepoli e i suoi seguaci.
Il gruppo carismatico
Introduciamo, con il metodo interattivo, la conditio sine qua non del carisma, cioè il gruppo carismatico.
Consideriamo che, senza la dedizione e l’obbedienza alle regole scritte e non, emanate dalla personalità carismatica, da parte di un folto gruppo, il carisma non potrebbe esercitarsi. Il numero è fondamentale perché si realizzi quella comunità microcosmica che giustifichi le dichiarazioni del capo carismatico.
Folla, moltitudine sono i termini che più si addicono al gruppo carismatico ma, ancora una volta, il disincanto di Max Weber ci invita a non farci ingannare dal fenomeno suggestivo di un unico uomo che si contrappone a una massa indistinta.
Ci sono almeno due modi di partecipare a un gruppo carismatico: come discepoli e come seguaci.
I discepoli mediano tra la dimensione dello straordinario, rappresentata dal capo e i bisogni della base dei seguaci di fruire dell’azione trasformatrice indotta dal capo stesso.
Infatti, obiettivo della relazione carismatica è la cosiddetta metanoia, ovvero il cambiamento rigenerativo che porta alla formazione di una persona corrispondente alle coordinate stabilite dal capo carismatico.
I seguaci sono coloro che reagiscono emotivamente alle parole d’ordine e alla capacità trasformativa del capo, con o senza la mediazione dei discepoli.
Discepoli e seguaci compongono la massa uniforme che conferisce al gruppo carismatico il potere di confermare e riconoscere, proprio a partire dalla folta presenza numerica, le qualità del capo.
Discepoli e seguaci sono le due facce della medaglia carismatica; tra essi non c’è apparente differenza di posizione ,sembrano volti nella folla, monumenti viventi all’onnipotenza del capo.
Eppure le due posizioni rivelano un’intenzionalità opposta.
I discepoli si addossano al capo con la motivazione di acquisire un po’ del suo carisma; per questo vivono nell’invidia costante delle qualità che egli gestisce nei confronti del gruppo.
Non sanno o non vogliono sapere i discepoli, che il carisma non si trasmette, né si eredita, a meno di stravolgerlo, essendo legato alle doti personali, come un abito su misura.
Ecco perché il nostro psicoterapeuta carismatico si guarderà bene dal circondarsi di allievi che potrebbero confutarlo, rifiutarlo e superarlo con argomenti e idee originali, e preferirà avere intorno a sé schiere di discepoli il cui agire è, come dice Weber, di tipo affettivo; sappiamo, infatti, che anche l’odio è un affetto, pure se mascherato da riconoscenza.
Più spontanea l’adesione dei seguaci che, nell’ipotesi che proponiamo, potrebbero aderire al gruppo carismatico per un bisogno effettivo di aiuto, ricevendone tutta l’energia che la cosiddetta comunità carismatica (Weber, cit.) è in grado di dare.
Se veramente esistesse una comunità del genere, accadrebbe che i seguaci potrebbero credere di beneficiare delle qualità terapeutiche del gruppo anche senza un rapporto diretto col capo.
Basterebbe stare lì ad assistere alle sedute di questo gruppo, senza essere mai interpellati, per trarne un beneficio da partecipazione passiva, che sa di sacro e di mistico, ma qualcuno potrebbe pretendere di chiamare psicoterapia, annunciando al mondo la scoperta del secolo.
La presenza passiva alle sedute di numerose persone non è l’unica forma di adesione al gruppo carismatico da parte dei seguaci.
Il capo in questione avrebbe anche altri strumenti per favorire l’adesione della sua moltitudine, sia con la diffusione di libri e scritti di ogni genere, sia con l’iconografia mediatica prodotta dagli stessi discepoli e seguaci, oppure tratta dalle incursioni mediatiche (interviste, apparizioni televisive, filmati etc.) del capo stesso, a riprova della sua presunta rinomanza.
Il detenere un oggetto emanato dal capo, come un libro o un’icona, accorcerebbe le distanze emotive tra il seguace e la sua guida, e farebbe sorgere nel seguace stesso l’aspirazione a trasformarsi in discepolo per avvicinarsi al capo ed esprimere ad esso una dedizione più profonda, ricevendone maggior considerazione.
L’ammontare di opere, pubblicazioni, filmati, testimonianze, andrebbe a costituire il patrimonio storico e la dimostrazione di un contatto costante con l’opinione pubblica contemporanea, e andrebbe ad alimentare il gran numero di prove e riconoscimenti carismatici, mantenendo elevata l’aspettativa dei seguaci di un prossimo trionfo ed acclamazione del loro oggetto di dedizione.
Esiti e prospettive del potere carismatico
Ovviamente stiamo lavorando di fantasia, e ipotizziamo in astratto la presenza di una personalità carismatica con qualità di psicoterapeuta che al momento non esiste, però, date le possibilità attuali di manipolazione e disinformazione, non escludiamo che in futuro potrebbe esistere. (Lago, Petrini, cit.)
Lo scenario che abbiamo immaginato, per fortuna, non è così catastrofico; a patto che non manchiamo di sottolineare alcuni passaggi fondamentali che enunceremo nel seguente modo:
a) Personalità carismatiche ce ne sono sempre state nella storia e in vari campi. Occorre, però, distinguere il carisma dal talento.
Quest’ultimo è il motivo per cui, nonostante l’eventuale fuoco di sbarramento della cultura dominante, coloro che hanno talento prima o poi sono riconosciuti.
Pertanto, se è vero che il talento di uno scienziato, di uno scopritore, di un uomo politico può tradursi in potere carismatico, è altrettanto vero che senza un riconoscimento socialmente ampio della effettiva qualità delle idee sostenute, la personalità carismatica a lungo andare si avvita su se stessa, intrappolata com’è tra l’istrionismo della modalità comunicativa prescelta e la necessità di tenere unito il gruppo carismatico che la sostiene.
b) Il gruppo carismatico, nonostante tutto, non è un’appendice della personalità carismatica, ma possiede una sua autonomia di derivazione.
Allo stesso modo di come i bambini di Hamelin si trovano a giocare sulla piazza, prima di essere affascinati dal pifferaio magico, così il gruppo in questione costituisce un’entità sociale già prima di aderire emotivamente al carisma, assoggettandosi interiormente alla rappresentazione di ciò che non è mai stato prima, di ciò che è assolutamente unico e che dà l’impressione di far vibrare ciascuno all’unisono con la Storia.
Il gruppo carismatico si addensa intorno al capo, provenendo dalle vie traverse delle illusioni perdute, dei tentativi falliti, delle credenze deluse.
Nella relazione carismatica può rivivere il sogno infantile di un’età dell’oro, l’utopia di una società primitiva incontaminata, l’aspettativa di essere accolti dalla società reale come i pionieri sostenitori di un’idea assolutamente nuova e del capo carismatico che l’ha prodotta.
Avvinghiato al carisma e ai suoi strumenti, il gruppo potrebbe invecchiare nell’attesa del riconoscimento sociale e andare verso il declino, come un movimento di reduci che occhieggiano malinconici, con un cenno di intesa reciproca, ai miti della loro gioventù.
Un’altra ipotesi è quella che la stessa musica, risuonando per le stesse strade, riuscirebbe a richiamare altri giovani, forse figli, nipoti, parenti, forse solo gente nuova, conquistati dall’azione convincente della gente vecchia.
Determinante, quindi, la capacità reclutativa di coloro che, nel corso degli anni, avranno modificato la loro posizione passando da seguaci a discepoli del capo carismatico, il quale assegnerà il diritto di appartenere “alla ristretta aristocrazia che lo circonda” (Tuccari, cit.) soltanto a coloro che dimostreranno di possedere le qualità carismatiche da lui stesso trasmesse.
Il tentativo del capo carismatico di creare discepoli a sua immagine e somiglianza, permette di capire come, nonostante l’importanza assunta dai discepoli stessi nel corso degli anni, il gruppo sia in grado di mantenere la sua struttura, la sua vocazione elitaria e al tempo stesso la sfida costante nei confronti della società reale.
Quest’ultima, per esempio, non potrebbe che assistere al fenomeno di una moltitudine consenziente influenzata da un capo carismatico, senza poter intervenire ma prendendo atto di un rispetto delle regole formali.
A testimonianza del fenomeno della costanza strutturale del gruppo carismatico, vediamo che esso non potrebbe consentire, come accade nella società reale, un ricambio generazionale, ossia il corrispettivo di una equiparazione o affiancamento dei discepoli al capo.
Se potessimo osservare, ad esempio, un gruppo carismatico a distanza di trent’anni dalla formazione, troveremmo che “non esiste una carriera, l’assunzione, la destituzione o la promozione, ma solo la volontà onnipotente di colui che è qualificato carismaticamente; e allo stesso modo non esistono gerarchie e competenze oggettive, che in ogni momento non possano essere sovvertite dall’intervento personale del capo.” (ivi)
c) Crediamo di aver dimostrato che il potere carismatico si basi sulla credenza e dedizione di un gruppo come quello che abbiamo descritto.
Lasciamo immaginare quanta confusione ne potrebbe derivare se da un gruppo così costituito venissero fuori le pretese di apportare novità e cambiamenti nel campo controverso della Psichiatria e della Psicoterapia.
Non abbiamo certamente nulla da eccepire nei confronti di gruppi e associazioni che perseguono ricerca e formazione in questo campo.
Abbiamo, però, la consapevolezza che esiste una grande differenza tra il gruppo carismatico che si avvolge intorno al suo capo, mimando, attraverso il numero traboccante di seguaci che partecipano emotivamente, un consenso sociale e culturale inesistente, e dall’altra parte, il gruppo di ricerca e formazione che accetta di confrontarsi, proponendo il nuovo, con le istanze del passato e del presente, senza la pretesa di annunciare un nuovo vangelo o vantare la scoperta della panacea dei disturbi mentali.
Se l’eventuale gruppo carismatico e il suo capo dovessero mantenersi entro i limiti delle regole dettate dallo stato e dagli ordini professionali, anche attraverso la rinomata e benemerita legge Ossicini, col tempo non dovremmo aspettarci che il progressivo esaurimento della spinta carismatica, col risultato di una trasformazione del carisma in pratica quotidiana e la sua compenetrazione con la tradizione.
Ancora Max Weber ci indica i due possibili limiti o punti deboli della personalità e del gruppo carismatico.
Il primo punto debole è la durata, cioè: quanto più dura nel tempo un gruppo carismatico tanto più si attenua la dedizione emozionale e perdono di attualità quelle prove che portavano il gruppo a riconoscere nel capo le qualità straordinarie e irripetibili che egli accampava di fronte ad esso.
Il mito dell’eroe giovane che sconfigge le forze del male, gestito e rappresentato come tale nella storia iniziale del gruppo, finisce per essere sostituito dal mito, senz’altro meno accattivante, del vecchio saggio con la pelle provata dal tempo, isolato e irredento dalla “strafottenza” della società reale che lo priva dell’appellativo di genio e offende così il credo irriducibile di tante persone.
Il secondo punto debole, dice Weber, è la successione. Nessun gruppo carismatico resiste alla frammentazione, venendo a mancare quel capo che per anni ha avocato a sé ogni prerogativa di pensiero e di azione.
La necessità della designazione di un successore apre una falla troppo grossa in seno al gruppo carismatico, a meno che non venga evitata con una conclusione concordata, come dimostra la lucidità di Jacques Lacan, quando un anno prima di morire mette fine all’Ecole Freudienne.
Un vero gruppo carismatico non sopravvive al capo. I tentativi di far sopravvivere quell’apparato di soggezione e dedizione a un’unica persona sono destinati a fallire.
Si contano vari modi di designazione: da parte del capo, da parte del gruppo, per consacrazione od elezione. Ciò che viene dopo, però, non è più la stessa cosa e soprattutto non ha niente a che vedere con il ricambio ai vertici di altri gruppi non carismatici.
Nel caso di un’organizzazione culturale formatasi intorno a un caposcuola o a un fondatore di un indirizzo teorico accreditato, rimangono i contatti e le discussioni reali con soggetti culturali reali, contatti cercati e realizzati per anni, fino a determinare uno scambio continuo e un rinnovamento in vari settori di ricerca.
Il gruppo carismatico senza il suo capo, invece, qualora non si frammenti subito o non si esaurisca, potrebbe prendere atto della sua natura di meteora che attraversa il cielo per sbriciolarsi chissà dove, privo di mediazioni culturali e sociali con il resto del mondo, fissato nel pensiero persecutorio di essere volutamente ignorato dai detentori del potere della cultura.
Il gruppo carismatico senza il suo capo potrebbe decidere di rimanere attaccato a tutti quegli oggetti di mediazione al suo interno, come libri, icone, scritti di vario genere, produzioni multimediali, che siano in grado di ricreare l’atmosfera carismatica.
Per quanto tempo? Forse per il tempo necessario a uno, a due, a un altro e via via a un altro ancora e poi a molti, di sentire che la musica è finita, di scoprire che un vento irriverente scompagina le infrastrutture della mentalità carismatica, prive del perno che le reggeva, di vedere che le stesse infrastrutture con cui era organizzato mentalmente il gruppo carismatico si allentano e rivelano la cartapesta e lo smalto di cui erano fatte, lasciando nell’ombra la confutazione urbi et orbi di qualsiasi scuola di pensiero diversa dalla propria, l’affermazione di conoscenza apodittica, la gestione di un sapere incontrastato, l’euforia della scoperta presunta, l’autoriferimento iperegoico, queste ed altre cose dileguate per sempre, al calar del sipario.
B I B L I O G R A F I A
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