PSICOLOGIA CONTEMPORANEA - Gennaio-Febbraio 2009
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Riassunto: Il carisma è un concetto mediato dalla sociologia, che lo ha studiato a proposito dei leader politici. Tradotto in altri termini in psicoterapia, il carisma corrisponde a tutto ciò che sono le qualità intrinseche non professionali dello psicoterapeuta e alla risposta entusiastica e incondizionata dei pazienti. Ridotto ai minimi termini da una metodologia convalidata e non autoreferenziale, il carisma potrebbe svolgere la sua azione all’interno della fase empatica, momento iniziale e fondamentale di ogni psicoterapia ma, a ben vedere, di ogni relazione umana.
La parola carisma vuol dire dono o grazia. Dalla Bibbia al Nuovo Testamento, carisma ha sempre voluto dire che le capacità straordinarie di un individuo non possono che dipendere dal “dono” che la divinità gli ha elargito, rendendolo capace di miracoli o di grandi imprese, oppure più semplicemente di grande fede e quindi affetto da un particolare stato di grazia. Con l’Illuminismo e la Rivoluzione Francese il significato si capovolge. In un mondo in cui il potere non emana più da dio ma può essere ottenuto, Bonaparte insegna, con l’esercizio di qualità personali, è la capacità di influenzare le masse, le folle, il pubblico che fa il carisma. L’ingresso del terzo stato nell’agone politico non getta solo le condizioni per la nascita di stati democratici ma determina il fiorire di personalità carismatiche, ovvero di uomini nuovi, non designati dalla tradizione ma primi inter pares, venuti fuori dalla massa distinguendosene per qualità eccezionali vere o presunte ma di certo esibite e giocate con arte nello scenario politico e sociale.
Il disincanto e l’acume di Max Weber illustrano, agli albori del Novecento, i segreti di quel potere carismatico che più di una volta si contrapporrà al potere legale e tradizionale nel corso del secolo, dando luogo a cambiamenti rivoluzionari che non sempre corrisponderanno a miglioramenti nella società. Lenin, Mussolini, Hitler, Stalin, Mao Tse Tung, Pol Pot, Khomeini, fino a Bin Laden, sono esempi evidenti di come “nel caso del potere carismatico si obbedisce al duce in quanto tale, qualificato carismaticamente, in virtù della fiducia personale nella rivelazione, nell’eroismo o nell’esemplarità, che sussiste nell’ambito di validità della credenza in questo suo carisma” (Weber, 1922).
Benché il paradigma delle personalità carismatiche si esprima soprattutto in campo politico e nelle grandi situazioni di massa, nessun contesto della società e dei suoi vari aspetti se ne può considerare esente. Il termine carisma è quindi passato nel linguaggio comune per indicare una dote positiva che si può possedere e gestire all’interno di un gruppo o di una organizzazione e che porta quasi sempre un individuo a distinguersi dalla massa, emergendo con una immagine pubblica capace di riverberarsi per qualche tempo sulla scena mediatica, fornendo all’interessato successo e privilegi di vario tipo.
A parte la politica, quindi, di carisma si parla a proposito del calciatore emergente, dello scrittore di successo, del cineasta autore di cult-movie, del giornalista impegnato, del cantante egocentrico e profetico, del comico populista, del manager di punta, e via via fino al piazzista caparbio e al sindacalista intransigente. Se nessun campo è escluso, tanto meno lo è il campo della psicoterapia, che ci interessa da vicino.
Si può dire, anzi, che le personalità carismatiche in psicoterapia sono la regola più che l’eccezione, e che il fattore carismatico in tutte le forme di psicoterapia costituisca una costante che non può essere esclusa, in quanto facente parte di quelle doti intrinseche della persona che applica la psicoterapia stessa, ma anche del ruolo che lo psicoterapeuta svolge agli occhi incerti e annebbiati della persona che a lui si rivolge per risolvere dei problemi psicologici (Lago, 2006). Si sa, infatti, che la psicoterapia moderna deriva dall’ipnosi, ossia da un tipo di intervento in cui la fascinazione è fondamentale per ottenere quei risultati eccezionali (ma in gran parte aleatori), di volta in volta definiti guarigione o trasformazione. Se l’ipnosi si avvale del carisma e dell’adesione ad esso da parte dell’ipnotizzato come di una regola fondamentale, è con la fine dell’Ottocento che la concezione unilaterale del carisma ipnotico viene messa in crisi. Hippolyte Bernheim (1887) sostiene che quella che si ottiene applicando su un soggetto il celebre “a me gli occhi, please” non è ipnosi ma suggestione, ovvero un fenomeno per indurre il quale occorrono la compiacenza e la disponibilità del soggetto che accetta l’influenza agìta su di lui da una personalità carismatica. Per Bernheim, però, l’esercizio suggestivo ai fini terapeutici deve essere opera di uno specialista e non di un semplice praticone, benché dotato di indubbio carisma. E’ da Bernheim che Sigmund Freud impara l’ipnosi; è grazie al metodo di Bernheim che lo studio del viennese si riempie di pazienti isteriche, che chiedono cure psicologiche.
Freud lavorerà per anni con l’ipnosi, facendo sdraiare i suoi pazienti sul lettino per indurre la trance, finché non metterà a punto il nuovo metodo, la psicoanalisi, con la quale vorrà diminuire al massimo l’influenza diretta del terapeuta sul paziente, facendo emergere da quest’ultimo ciò che egli nasconde o vuole nascondere anche a se stesso, ma in modo non direttivo e non coercitivo, ovvero attenuando il fattore carismatico e le sue conseguenze di dipendenza e suggestione nei confronti della persona dell’analista. Questa di Freud, purtroppo, si rivelerà una pia illusione, in quanto, come ben conosciamo dopo più di un secolo di psicoanalisi, il fattore carismatico non è stato scalfìto dal metodo freudiano, anzi le pretese di neutralità e non direttività del setting analitico sono state sconfessate dagli stessi sviluppi successivi del metodo in epoca post-freudiana. Alla luce delle scoperte della psicologia scientifica e dell’infant research, l’impianto intrapsichico freudiano, nel quale il conflitto si svolge tra istanze interne al soggetto (Io, Es, Super-io) e la mente è vista come isolata e quasi come una monade sfiorata da altre monadi, è stato ampiamente confutato e rimaneggiato. La cosiddetta teoria delle relazioni oggettuali, inizialmente invisa e osteggiata dagli ortodossi del freudismo, ha preso il sopravvento, attribuendo pari dignità sia agli influssi interni sia agli influssi esterni, ossia a quelli provenienti dai caregiver, dal gruppo familiare allargato, dalla cultura e dalla società. Il successo del punto di vista interpersonale e intersoggettivo, oltre ad avere dato spunto alle psicoterapie non psicoanalitiche e a un modello di integrazione tra psicoterapia e conoscenze scientifiche, ha determinato una prima crisi nella natura carismatica del rapporto terapeutico che vede da una parte il paziente, ancora sdraiato sul lettino come ai tempi dell’ipnosi, e dall’altra parte il terapeuta, comodamente seduto alle sue spalle a interpretare i contenuti mentali del paziente o a tacere per meglio far affiorare le di lui libere associazioni. Anche non dando credito alle male lingue, le quali sostengono che Freud amasse stare dietro il lettino perché non sopportava di essere fissato dai pazienti, non c’è dubbio che una qualsiasi relazione interpersonale non possa avvenire se non c’è reciprocità e anche formalmente una disponibilità ad accedere al campo intersoggettivo, ovvero al contesto condiviso dove due soggetti si incontrano per dare luogo ad una relazione, appunto, terapeutica. Ammettere una pari dignità dei ruoli, pur nella diversità dei contenuti mentali e del livello di sviluppo della personalità, costringe lo psicoterapeuta ad essere presente con la sua umanità e identità personale nella relazione, senza potersi più di tanto circondare dell’alone magico che il fattore carismatico gli conferisce quasi automaticamente, a prescindere dal valore effettivo della sua persona. Uno degli automatismi del fattore carismatico è stato ben evidenziato da Freud, il quale ha denominato transfert l’influenza che il terapeuta esercita sul paziente. Ma non è tutto transfert; sarebbe riduttivo sovrapporre il fattore carismatico al trasferimento sul terapeuta dell’immagine genitoriale. Nel fattore carismatico ci sono gli elementi che Max Weber bene illustra e che, seguendo il nostro discorso applicato alla psicoterapia, prevedono lo sviluppo di almeno tre componenti:
La personalità carismatica, ossia il terapeuta che si propone come oggetto del desiderio (Lalli, 2008) e dell’ammirazione del paziente, fino a rasentare forme di soggezione e sfruttamento dell’altrui bisogno di cure e dipendenza.
L’attaccamento insicuro (Bowlby, 1969 cfr. Ainsworth, 2006), condizione carenziale dello sviluppo di base della personalità, che determina nel paziente la ricerca costante di rassicurazioni e mantiene l’alienazione degli ideali di perfezione e di “forze e proprietà soprannaturali o sovrumane” (Weber, cit.) nei confronti della personalità carismatica.
Il contesto culturale e mediatico che, attraverso l’esercizio dell’autoreferenzialità, esalta le qualità personali, le presunte scoperte e genialità di singoli individui che si autodefiniscono ricercatori ed esperti, senza sentire l’esigenza di esporre le loro teorie e i loro metodi secondo evidenze scientifiche condivise.
Con il cambiamento del contesto culturale e scientifico degli ultimi vent’anni, il fattore carismatico in psicoterapia ha subìto una scossa talmente forte che, a dimostrazione di quanto dicevamo, anche la psicoanalisi ne è rimasta tramortita. Freud è morto molte volte sulle copertine e gli articoli di fondo di riviste e quotidiani di grande diffusione, e con la caduta del mito di Freud è venuta meno nei suoi epigoni la tendenza ad atteggiarsi a “nuovo freud” per gestire il carisma indiscusso del maestro. La psicologia scientifica, l’infant research, e in ultimo le neuroscienze (Oliverio, 2008) hanno riportato Freud alla condizione di uomo e ricercatore del suo tempo, togliendolo dal piedistallo dell’infallibilità. La società internazionale freudiana (IPA), dopo anni di gestione inquisitoria delle “eresie” degli outsider della psicoanalisi, si è adattata a creare un “pantheon” pieno di personalità carismatiche diverse tra loro ma unite dal comune denominatore della appartenenza a una scuola psicoanalitica senza confini e senza contenuti coerenti. La scossa tellurica che ha investito la psicoanalisi ha aperto voragini anche nella psicoterapia in genere, dimostrando che il fattore carismatico è un elemento fondamentale non solo “dell’oro della psicoanalisi”, ma anche del “rame della psicoterapia”. Qualcuno adesso cerca giustamente di colmare in ritardo il vuoto metodologico, cercando di adeguarsi a ricerche condivise e a scoperte indubitabili in campo neuroscientifico (Dazzi, et al. a cura di, 2006). Il fattore carismatico, però, potrebbe condizionare anche in questi ultimi casi; e già si vede qualche titolo mediatico che parla di un “Freud risorto”. In Italia, la ben nota Legge Ossicini (n.56/1989) ha regolamentato la materia, limitando ai laureati in psicologia e medicina la pratica della professione di psicoterapeuta e affidandone la formazione a scuole riconosciute dallo Stato. Tra le numerose scuole di specializzazione si tarda, però, a creare un common ground scientifico che ne assicuri la validità e l’efficacia. Il rischio è che ci si limiti a cercare comuni appartenenze che esaltino il fattore carismatico, assimilando scuole che si riconoscono nella teoria di un fondatore illustre (ipse dixit), piuttosto che favorire l’indirizzo integrato che tende a uniformare i presupposti scientifici di partenza.
Abbiamo detto fin qui che, nonostante le buone intenzioni di Freud, il primo attenuarsi del fattore carismatico in psicoterapia, e con esso l’uscita della psicoterapia stessa dall’alone mistico e profetico che tende a ridurla a una pratica suggestiva o iniziatica, avviene in epoca recente, con l’affermarsi del punto di vista intersoggettivo e con la fine del mito della mente isolata (Storolow e Atwood, 1992). Lo psicoterapeuta, così, non è più l’essere speciale che lesina parole nascondendosi alla vista dietro a un lettino, né usa altre sovrastrutture materiali o psicologiche per proporsi come oggetto del desiderio, mettendo se stesso al centro dell’attenzione e non il suo effettivo sapere e saper fare. La psicoterapia si fa finalmente guardandosi negli occhi, rispecchiando la propria umanità in quella dell’altro, offrendosi per un incontro esistenziale ma soprattutto di lavoro, per risolvere non tanto problemi nascosti che solo la lungimiranza del terapeuta carismatico riesce a individuare e risolvere, ma per prendere atto di problemi evidenti, le cui radici vanno ricercate insieme all’interessato, in una procedura a quattro mani che non prevede dislivelli genetici ma solo diverse esperienze e diverse conoscenze.
Con l’ingresso delle neuroscienze nella ricerca applicata alla psicoterapia (Lago, cit.), pensiamo che sia possibile una ulteriore attenuazione del fattore carismatico in psicoterapia, fatto che gioverà all’efficacia degli interventi e aumenterà la garanzia nei confronti degli utenti. Sappiamo che sarebbe una illusione voler eliminare del tutto il fattore carismatico in una relazione interumana come quella terapeutica, ma possiamo, parafrasando Brecht, sperare in una psicoterapia che non abbia bisogno di personalità carismatiche ma solo di esperti ed abili professionisti.
BIBLIOGRAFIA
Bernheim H. (1877) De la Suggestion et de son Application à la Thérapeutique. Paris
Bowlby J. (1969) Attaccamento e perdita. Vol. I Boringhieri, Torino 1972
Ainsworth M. (2006) Modelli di attaccamento e sviluppo della personalità. Scritti scelti. Cortina, Milano
Dazzi N., Lingiardi V., Colli A. (a cura di, 2006). La ricerca in psicoterapia. Modelli e strumenti. Cortina, Milano
Lago G. (2006).La Psicoterapia Psicodinamica Integrata: le basi e il metodo. Alpes Italia, Roma
Lalli N. (2008) Dal mal di vivere alla depressione. Ma.Gi., Roma
Oliverio A. (2008) Geografia della mente. Cortina, Milano
Storolow R.D., Atwood G.E. (1992) I contesti dell’essere. Bollati Boringhieri, Torino 1995
Weber M. (1922). Economia e società. Vol 1, Einaudi, 1999