Mente e Cura N. 1/2011
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Riassunto – Un approccio empatico al sogno consente di superare l’annosa questione del doppio binario tra contenuto manifesto e contenuto latente, collegata alla teoria delle pulsioni di Freud. L’unico elemento latente da scoprire è il Pensiero Inconscio del sognatore, espresso con la drammatizzazione del sogno e tre parametri fondamentali: Piano Narrativo, Espressione Estetica, Componente Affettiva. In tal modo, il sogno si dimostra materiale espressivo della personalità e della relativa organizzazione, nonché processo indispensabile per la mentalizzazione e la coesione del sé.
Proviamo a leggere il testo di un sogno e lasciamoci andare ad impressioni immediate e a considerazioni generali:
Uomo, 36 anni.
SOGNO 1
Mi trovo su una specie di struttura che sembra una gru.
Sto dentro l’abitacolo, insieme con qualcuno che sembra mio fratello e si sposta a tratti, alterando l’equilibrio della struttura, tanto che mi trovo costretto a muovermi in continuazione per equilibrare il peso, con la paura di crollare.
Naturalmente, terremo conto dei cardini fondamentali del linguaggio onirico come da più di un secolo ci sono stati spiegati (Freud, 1899).
In particolare, ci serviremo dei concetti di spostamento, condensazione, raffigurazione, drammatizzazione, tralasciando qualsiasi implicazione con la teoria delle pulsioni, della quale ormai ben pochi tengono conto (Migone, 2005).
Anche senza una grande esperienza di interpretazione dei sogni, potremmo accostarci al materiale interpretabile fornito dal sogno in chiave fenomenologica (Storolow, Atwood, 1982) e cercare di capire che cosa ci sta comunicando il sognatore in questione.
Prima ancora di conoscere i dettagli della sua vita, prima ancora di inquadrare il contenuto che egli ci comunica all’interno di una diagnosi di personalità.
Potremmo definire il nostro atteggiamento rispetto al testo del sogno come approccio empatico al materiale onirico, ammettendo che non abbiamo alcuna difficoltà ad equiparare ciò che leggiamo con la eloquente sequenza di un film, attraverso il quale l’autore parla di sé e del suo essere nel mondo.
Lo spazio abitato dal nostro soggetto del sogno 1 è una struttura che sembra una gru. Se lo seguiamo senza schemi e griglie ideologiche, lo stesso soggetto ci guida nella sua struttura personale, elevata e provvisoria come la gru, all’interno di un abitacolo angusto dal quale si osservano le cose dall’alto e si cerca di dominarle con lo sguardo.
Questo impianto meccanico, questo meccanismo, appunto, non è rassicurante né efficace per la sua funzione.
Colui che sembra il fratello del sognatore (in realtà egli è unico figlio maschio), ovvero una parte di sé non dichiarata, si muove a tratti, scatenando ripetute perdite di equilibrio che l’altezza della gru e la sua esile struttura accentuano.
A fronte di una parte di sé che gli provoca continue perdite di equilibrio, il nostro soggetto è costretto così a muoversi per non spostare il baricentro dell’abitacolo traballante ed evitare il crollo, ossia per non vivere la crisi rovinosa del meccanismo attraverso il quale egli si distanzia dal mondo e tenta un controllo impossibile dall’alto.
Certo, non era nostra intenzione fare un’interpretazione contestualizzata, per la quale avremmo dovuto tener conto della storia clinica e forse riportare la trascrizione di passaggi importanti delle sedute, per cui ci fermiamo qui, ma è chiaro che l’impressione, la visione d’insieme che abbiamo tratto da questo approccio empatico al sogno ci potrà servire per svolgere il lavoro psicoterapeutico a vari livelli.
Un sogno del genere, raccontato nel momento iniziale della psicoterapia, ad esempio, consente, senza escludere le altre forme di valutazione, di orientarsi sugli aspetti strutturali e organizzativi della personalità del sognatore.
In questo caso, il sogno era comparso in un momento di svolta, ossia in un passaggio importante del processo terapeutico, nel quale il paziente, affetto da un disturbo grave di personalità, stava cominciando a mentalizzare, dopo un lungo periodo di difficoltà comportamentali e interpersonali, nonché un disturbo delirante persecutorio poi rientrato.
Trattandosi di un processo terapeutico già in corso da alcuni anni, fu possibile discutere i contenuti del sogno con lo stesso paziente e migliorare la consapevolezza che egli voleva avere su di sé e sulle sue fragilità.
Questo ed altri sogni, raccontati e discussi nel setting, contribuirono a migliorare la compliance e le capacità di autoregolazione del paziente. Ciò ebbe buone ripercussioni sulla sua qualità della vita e sulla relazione terapeutica.
Passiamo ad un altro esempio. Donna, 50 anni.
SOGNO 2
Volevo attraversare il deserto con un cavallo. Mi dicono che il cavallo non è mio ma di una bella donna fiera, che non vorrebbe prestarmelo e pensa che io non ce la faccia.
Però, un mio amico interviene e insiste perché la donna mi dia il cavallo.
Alla fine ottengo il cavallo e anche il mio amico mi accompagna nel viaggio nel deserto.
Cominciamo dall’atmosfera e paragoniamola a quella del sogno precedente, dove la precarietà, il pericolo del crollo, l’alienità della presenza di quella specie di fratello ci comunicano ansia e senso di instabilità.
Qui ci colpisce un dato che sembra quasi assente nel sogno 1: c’è un che di particolarmente animato e scorrevole, come un’onda che percorre la sequenza onirica e ne diffonde quasi i colori.
Ci sentiamo spettatori partecipi di una vicenda che comincia lontano da noi ma ci raggiunge e ci afferra per offrirci la comprensione come si offre un abbraccio.
Questa donna vuole un cavallo che le permetta di affrontare l’aridità di una condizione desertica, chiaramente vissuta al proprio interno, ma il cavallo appartiene a una bella donna la cui fierezza diffida delle risorse personali della sognatrice nel superare l’aridità nella quale l’ha spinta il disturbo depressivo dal quale è afflitta.
Anche qui una rappresentazione di una parte di sé esprime la bellezza fiera dei suoi ideali che non concederebbe risorse per il superamento della crisi attuale, in una sorta di conflitto insanabile di autosvalutazione, ma interviene un amico.
Chi? Forse la testimonianza dei legami presenti e attivi nella vita della donna, ma in modo ancora più chiaro la testimonianza che il terapeuta è riuscito a mediarli tutti, fino a svolgere quel ruolo importante di affiancamento e restituzione delle qualità e risorse presenti nella realtà profonda della paziente (Lalli, 2008).
Interpretazione dei sogni
Ribadiamo la necessaria approssimazione con cui ci accostiamo al testo del sogno e il rimando al setting per la definizione e l’approfondimento, nonché per l’utilizzo in termini clinici del materiale onirico (Lago, 2006).
Qui vogliamo offrire esempi di come l’approccio al sogno possa avvenire a partire dalla fenomenologia del racconto e dalle caratteristiche estetiche e formali dello stesso.
Con questo, non abbiamo alcuna intenzione di incoraggiare interpretazioni “oracolari”, né prendere le parti di poco dignitosi “guru” carismatici che utilizzano l’interpretazione dei sogni per suggestionare e dominare i loro seguaci (Lago, Tropeano, 2010).
Vorremmo che si prendesse atto che molte cose sono cambiate nell’interpretazione dei sogni dai tempi di Freud, e che, anche se non lo si evidenzia abbastanza, niente è rimasto del metodo interpretativo freudiano nella prassi degli psicoterapeuti ortodossi e non.
[...]Oggi invece molti analisti rivalutano l’aspetto manifesto dei sogni come immagini e narrative che hanno una validità in se stessa, che va rispettata ed eventualmente capita in altro modo. Non si crede più tanto che esista una sorta di teoria del doppio binario…, cioè che vi siano due racconti paralleli, quello del sogno manifesto (mascherato, censurato, simbolizzato) e quello del sogno latente (il racconto “vero” che risulta dalla interpretazione o traduzione del primo). Le immagini manifeste del sogno possono invece non esprimere affatto qualcos’altro ma avere valore in se stesse…Come hanno dimostrato vari ricercatori sia all’interno che all’esterno della psicoanalisi…non è vero che il processo primario, di cui il sogno secondo Freud era la tipica espressione, rappresenta una modalità regressiva di funzionamento e che deve trasformarsi nel processo secondario (quello razionale, logico o verbale)… Sarebbe quindi sbagliato tradurre le immagini di un sogno in qualche significato latente dotato di un senso preciso, si rischia in questo modo ridurne la complessità e distorcere le mille altre sue possibili funzioni.[...] (Migone, cit)
Ancora un esempio. Donna, 40 anni.
SOGNO 3
Mi sento molto eccitata.
Sono tutta nuda, distesa sul marmo freddo.
Mi sveglio con la sensazione del desiderio.
Una donna che da sempre si definisce frigida e si è sottoposta a più di una psicoterapia e trattamenti sessuologici. In pochi tratti, il sogno svela che non è il sesso a dover essere risvegliato ma qualcosa di freddo sul quale è disteso il corpo della sognatrice. Un marmo gelido come un tavolo anatomico, un modo di essere “morta” e rassegnata a non muovere i propri affetti, a non reclamare di essere amata come persona e non come oggetto. Quasi consapevole della situazione in cui vive, la stessa persona racconta un sogno della medesima notte.
SOGNO 3bis
C’è una bellissima pianta, alta, verde
Sta in un piccolo vaso, vecchio, brutto
Io guardo e dico: “Questa pianta dev’essere cambiata e travasata.
Una personalità che da più punti di vista potrebbe essere definita isterica, ha il coraggio di andare oltre il raggio di una difficoltà sessuale dichiarata e oltremodo enfatizzata per accorgersi di dover superare l’angustia di una mentalità gregaria di significati scontati e riduttivi.
La svolta esistenziale sta nel prendere atto proprio di questi limiti (ma anche di quelli di un freudismo maldigerito) per dedicarsi al recupero dell’autostima sulla base di una visione di sé rinnovata e integrata da una ricostruzione biografica che rispetti la qualità umana del soggetto e non imponga improbabili e astratte teorie della mente.
Il problema sessuale verrà superato con la scelta di un partner più affettivo e al contempo più valido, ma il lavoro terapeutico si occuperà di una insicurezza più consistente che emerge con la conclusione della dispareunia e dà luogo a vissuti angoscianti, come dimostra il sogno seguente.
SOGNO 4 (dopo l’inizio del nuovo flirt)
Sto guidando, quando mi accorgo di aver dimenticato il satellitare.
La strada è sconosciuta ma mi ricordo il vano del GPS vuoto e provo angoscia.
Abbiamo visto in che modo si discosta il nostro modo di intendere il sogno dalla teoria classica che lo vuole come appagamento del desiderio inconscio sessuale, sotto la spinta di istanze pulsionali che premono sull’individuo e gli fanno comporre le immagini oniriche, opportunamente deformate dal lavoro della censura e dal conflitto intrapsichico.
Al momento attuale, siamo d’accordo nel ribaltare la frase emblematica di Freud: “il sogno è la via regia all’inconscio”, nel modo che ci suggerisce Fosshage (1997): “il sogno è l’espressione regia dell’attività mentale inconscia”.
Ma, parlando di inconscio, non possiamo non fare riferimento a quanto il metodo della PPI (Psicoterapia Psicodinamica Integrata) riconosce come distinzione tra Protomentale e Pensiero Inconscio.
Per cui, di quale attività mentale sarà espressione il sogno? Per il metodo PPI, il sogno è un processo di II ordine (Lago, 2006), ossia il risultato della integrazione dei livelli emotivi non mentalizzati (protomentali) con livelli mentali più evoluti (mentalizzati), come il Pensiero Inconscio.
La definizione giusta, secondo il metodo PPI, è quella che il sogno sia una fantasia (non nel senso kleiniano che risente ancora della teoria delle pulsioni), ovvero una componente dell’attività cognitiva, anche se si esprime in maniera inconscia.
[...]Bion dà un impulso alla teoria del sogno come pensiero, superando in modo definitivo il modello neurofisiologico proposto da Freud e ponendo all’origine della vita psichica le passioni e gli affetti suscitati dalle esperienze emotive.
In modo quasi diametralmente opposto all’atteggiamento di Freud verso l’emozione, Bion dice che l’esperienza emotiva del rapporto intimo deve essere pensata e capita perché la mente possa crescere e svilupparsi.
Bion vede un’interrelazione osmotica tra coscienza e inconscio; e non esclude una visione binoculare che ne integri gli aspetti, dando all’essere umano la possibilità di trasformare le emozioni in pensiero, ossia innanzitutto trasformare le emozioni prima in pensieri onirici espressi in immagini e poi in pensieri verbali.
Ponendo gli affetti alla base della conoscenza, Bion, può sviluppare il Pensiero Inconscio, in quanto trasformazione di esperienze emotive che sono il significato, ovvero il contenuto dell’esperienza materiale.[...] (Lago, 2002)
Ovviamente, sappiamo come Bion si sia molto piegato al verbo kleiniano, ma è pur vero che ha prodotto una quantità di lavori originali dai quali si evince un’impostazione totalmente alternativa sia al freudismo che alla teoria kleiniana.
L’impostazione bioniana, comunque, non è l’unica a rifiutare la teoria classica del sogno. Si può dire che, a partire da Jung, l’idea freudiana sul sogno sia stata la più contestata e ritenuta la meno credibile.
I lavori post-freudiani sui sogni degli ultimi tre o quattro decenni sono relativamente pochi. Un motivo potrebbe essere quello che, durante gli anni 1920 e 1930, i primi psicoanalisti hanno avuto la tendenza a privilegiare l’analisi dei sogni.
A partire dagli anni 1950, hanno invece accordato un’importanza crescente all’analisi del transfert.
Il sogno ha smesso di essere visto come espressione disarticolata delle pulsioni, per diventare comunicazione all’interno della relazione terapeutica, ossia Pensiero Inconscio che emerge dalla drammatizzazione del Lavoro Onirico.
Il metodo PPI
Rifiutando la teoria delle pulsioni, per il metodo PPI non è quindi applicabile il sogno come appagamento di un desiderio.
Rimane il Pensiero Inconscio, non più come espressione delle pulsioni, ma come prodotto della mentalizzazione quale sintesi delle immagini mentali derivate dalle esperienze emotivo-affettive e intersoggettive. Sogno è quindi pensiero espresso secondo modalità non verbali (non è logos ma è idea).
Nei sogni c’è la drammatizzazione delle dinamiche vissute dal sognatore. Gli elementi protomentali sono contenuti nel contesto narrativo delle immagini oniriche.
Quando il Protomentale è slegato o più o meno congruo con la struttura narrativa del sogno si può cogliere il disturbo della mentalizzazione e ipotizzare un ambito diagnostico.
La qualità del piano narrativo, dell’espressione estetica, della componente affettiva (i tre elementi del sogno) deve essere valutata complessivamente e inquadrata nella struttura della personalità del soggetto.
Le eventuali associazioni hanno lo scopo di confermare le intuizioni che provengono dai tre elementi del sogno. Il latente del sogno sono le idee del soggetto e non le sue “pulsioni”.
Se per pulsioni volessimo indicare le emozioni, esse si troverebbero già nel contesto onirico, senza inutili e dispersive ricerche associative frammentarie.
Ritorniamo all’approccio empatico del sogno con un altro esempio (Caprilli, Carleschi, Lago, 2002). Uomo, 37 anni:
SOGNO 5
Mi trovo all’interno di un tunnel lungo e buio, vicino a me ci sono dei bidoni di kerosene.
Allo sbocco del tunnel ci sono dei malviventi, uno di questi ha una pistola e spara.
Colpisce un tubo che passa sopra la mia testa, sulla volta del tunnel, il tubo scoppia, esce tanto vapore, scoppiano anche i bidoni di kerosene e tutta la galleria è in fiamme.
La scena cambia, sono davanti ad un grande acquario con delle alte pareti di vetro come l’acquario di Genova.
Dentro ci nuotano tante creature marine e tra queste c’è anche una grossa tartaruga.
Lo scoppio del tunnel fa saltare il vetro dell’acquario e dappertutto c’è acqua e vapore.
La rottura del vetro libera la tartaruga, ma vedo che non si è fatta niente e sta bene.
Il soggetto possiede una notevole capacità rappresentativa, tale da segnalare, attraverso la narrazione onirica, la sua condizione attuale di distacco e difesa nei confronti della realtà.
Alla ricerca di una forma di autosufficienza, il soggetto ha operato una specie di reinfetazione, ben espressa nel tunnel, fornito di “bidoni di kerosene”, ossia propellente, frutto di una degradazione subita dal contenuto dell’oggetto primario costituito dal seno materno.
L’onnipotenza del provvedimento autodifensivo è però minacciata da chi dall’esterno colpisce il soggetto, esprimendo le di lui istanze persecutorie, già manifestate nel colloquio clinico.
L’azione “aggressiva” dei “malviventi” mette in crisi la struttura difensiva del soggetto, facendogli scoppiare ciò che passa sulla sua testa ma anche dentro la sua testa, provocando quella che potrebbe rappresentare una prima crisi dell’equilibrio narcisistico.
In questa prima parte del sogno si assiste, quindi, al crollo di una reinfetazione che il mondo esterno ha sufficientemente contrastato anche se, nei confronti di coloro che non sono assimilati al suo mondo interno, il soggetto ha sviluppato idee persecutorie.
Nella seconda parte del sogno, vediamo come il soggetto rappresenta la sua nuova condizione difensiva, improntata più all’ambivalenza tra una modalità “reinfetante” e una modalità più aperta e disponibile all’ambiente.
La tartaruga, un po’ acquatica, un po’ terrestre, emerge dallo scoppio del tunnel e dalla rottura di un vetro contenitivo e isolante nei confronti della realtà.
Il soggetto, benché traumatizzato dal crollo della struttura autistica, trova modo di apprezzare la nuova situazione e si colloca in una dimensione narcisistica, ma non schizotipica, “sentendosi libero” e contento di poter fare a meno di un rigido contenimento divenuto il vero problema da risolvere, e la dissoluzione del quale, una volta superata l’angoscia catastrofica, è fonte di benessere.
Nell’analizzare il sogno precedente, non abbiamo fatto altro che tentare di ricostruire un pensiero e una visione del mondo e di sé che il sognatore ci presenta con il linguaggio onirico.
Solo rifiutando il modello pulsionale e rivalutando il modello relazionale della mente (teoria delle relazioni oggettuali), l’indirizzo psicodinamico recupera la storia personale, affettiva ed emozionale del soggetto.
Il sogno è di per sé simbolopoietico, poiché trasforma simbolicamente esperienze all’origine presimboliche (protomentali), e conseguentemente permette la verbalizzazione di esperienze all’origine preverbali.
Anche senza il ricordo, il sogno può rendere pensabili le emozioni passate depositate nella memoria implicita.
Il Protomentale, integrato narrativamente nella scena del sogno, appare nella rappresentazione teatrale onirica e può essere accessibile all’interpretazione. Il sogno è come la rappresentazione teatrale della vita interna ma, si tratta di un teatro che ha lo scopo di generare significati.
Ricorrendo alla metafora teatrale, Meltzer (1984) introduce una ricerca formale nella teoria del sogno.
Nel linguaggio onirico sono presenti una forma linguistica simbolica, che è simile alle espressioni pre-verbali dei bambini, ed è fatta prevalentemente di gesti e suoni, come danza e canto, non completamente traducibili nel linguaggio verbale; e una forma plastica simbolica, consistente nelle immagini dense di significato.
Colui che ascolta il paziente osserva l’immagine che appare nella sua immaginazione.
[...]Si potrebbe affermare con forza di argomenti che egli permette al paziente di evocargli, dentro se stesso, un sogno.[...] (Meltzer cit.)
Bion (1962) sosteneva che, attraverso la struttura narrativa della funzione-alfa, il pensiero dimostra una sua coerenza e consequenzialità.
Meltzer riconosce nel sogno degli elementi simbolici che, posti in una struttura narrativa, esprimono significati attraverso immagini, non tutti traducibili in parole.
Esiste, dunque, un linguaggio onirico affine formalmente alla comunicazione artistica, come il linguaggio della poesia, della pittura, della musica, della danza, ovvero esiste una qualità estetica delle immagini oniriche, che risale alle esperienze emotive primarie fatte in epoca pre-verbale.
Sia la coerenza della struttura narrativa del Pensiero Onirico, sia la qualità estetica del sogno, ci permettono, quindi, di valutare le produzioni oniriche dei nostri pazienti.
Il far riferimento a una funzione creativa per la nascita del Pensiero Onirico non è per noi motivo di attestarci in una posizione animistica o vitalista, per cui il Pensiero Inconscio nasca miracolosamente da una reazione a catena di tipo biologico, come dal big-bang nasce il mondo.
Come è confermato dalle ricerche sperimentali sul neonato, quest’ultimo, come l’uomo adulto, deve apprendere dall’esperienza.
Il neonato necessita di un aiuto per condensare le immagini che danno poi luogo ai sogni, ossia alla forma elementare del Pensiero Inconscio destinato a svilupparsi in maniere sempre più evolute passando per il mito, l’arte, fino al Pensiero Verbale.
Occorre che si realizzi in modo adeguato il processo di mentalizzazione, cioè che le immagini mentali, frutto della elaborazione delle relazioni significative, si possano configurare in altro modo, seguendo una tendenza creativa che dà luogo alla formazione di fantasie, ossia immagini relativamente indipendenti dall’effettiva esperienza di interazione con l’ambiente.
I sogni sono un esempio concreto della capacità produttiva del Pensiero Inconscio, in grado di fondere immagini mentali e fantasie.
Le fantasie sono elementi aggiuntivi dinamici, per cui il soggetto arricchisce con un apporto personale creativo ciò che viene elaborando dalle esperienze emozionali ed affettive dovute all’esterno, pervenendo così ad una forma originale di simbolizzazione.
Data la notevole complessità del lavoro della memoria esplicita nella costruzione di fantasie, non è possibile ipotizzare questo genere di produzioni se non successivamente al primo anno di vita, ovvero quando è possibile parlare di relativo completamento della maturazione del SNC.
La costruzione di fantasie coincide, quindi, con lo sviluppo omogeneo della struttura cerebrale (ippocampo) fortemente influenzata dalle esperienze ambientali di tipo affettivo interumano.
La memoria implicita, legata al sistema limbico, è quella relativa agli avvenimenti di tipo emozionale, avvenuti in un’epoca in cui il processo di mentalizzazione è ancora agli inizi ed è spiccato il funzionamento Protomentale, i cui prodotti non sono fantasie. (Nir e Tononi, 2010)
Il nesso tra sogno e mentalizzazione porta la Psicoterapia Psicodinamica Integrata a stabilire una sostanziale identità tra Pensiero Inconscio e sogno.
Già, con questo, ci rendiamo conto di oltrepassare la visione freudiana del sogno guardiano del sonno. Per Freud, i pensieri del sogno derivano dai residui diurni della veglia e dal legame che questi stessi residui intrattengono con i ricordi infantili del soggetto, in modo tale che “i pensieri del sogno vengono considerati anteriori all’esistenza del sogno stesso” (Meltzer, cit.).
Le notizie dei sogni, per Freud, a causa del preconcetto sull’origine nella veglia di tutti i pensieri onirici, provengono dal lontano rimosso infantile ma non dicono assolutamente niente.
Per quanto ci riguarda, prima ancora di articolare un’interpretazione, traiamo dall’ascolto dei sogni importanti informazioni sulla capacità di pensiero del sognatore, quanto a coerenza e integrità, così pure sul suo modo di impostare l’esperienza estetica nel mondo. Il nostro parlare eventuale, successivo all’ascolto del sogno stesso, dovrà tenere conto della modalità teatrale della rappresentazione onirica della vita interna.
Dovremo intervenire, come ci suggerisce Meltzer, con immagini sulle immagini, come se anche noi, interpretando i contenuti, dovessimo entrare nello scenario del sogno prendendoci la libertà di modificare le storture, le incoerenze, le bruttezze del contesto formale simbolico che il sogno ci presenta.
Il lavoro con i sogni diventa pertanto propedeutico alla realizzazione di un livello accettabile di mentalizzazione ed acquisizione di capacità simboliche che possono esprimersi nel pensiero cosciente.
Interpretazione come costruzione
Riprendiamo a costruire l’interpretazione di un sogno, così come lo stesso Freud ci invita a fare in un breve eccezionale lavoro di metodologia del 1937.
Lo stesso uomo del sogno 5.
SOGNO 6
Sembra una prova di abilità con un mio amico che mi dice: “ Sai , io a casa vivo con miliardi di insetti dappertutto”
“ E che ci vuole?” dico io. Bene, all’improvviso la mia casa al mare, quella dove stavamo quando ero piccolo, si riempie di miliardi di larve, insetti, formiche ma soprattutto piccoli scarafaggi a forma di grossi pinoli, con una corazza color argento metallico…..
Io provo a stare con questi insetti per un po’ ma poi alla fine sbotto, sono dappertutto, anche addosso, nei vestiti,nei capelli, sulle mani, io cerco di schiacciarli ma ritornano.
Con fatica riesco a toglierne il più possibile e poi esco fuori di casa e chiudo la porta.
Mi servirebbe una cuffia per proteggermi i capelli, un tizio fuori della porta mi offre un completo di cuffie, una bianca, una nera e una rossa; prendo quella nera, guardo che non ci siano dei buchi che possano entrare gli insetti, me la infilo e rientro nella casa.
A questo punto ho un colpo di genio: alcol e fuoco!
Spargiamo tutto l’alcol da cucina, quello che serve per fare i dolci, lo spargiamo dappertutto.
Gli insetti si radunano e cominciano a bere questo alcol, ma non possiamo dare fuoco perché tutta la casa andrebbe bruciata, così ho un’altra idea: davanti a me sul muro ci sono due grandi pannelli di legno chiaro, sono come delle cornici di quadri senza il quadro e con delle liste che li dividono anche al centro.
Voglio far andare tutti gli insetti sul pannello e così batto con un bastone su uno dei pannelli e gli insetti lasciano il soffitto e le intercapedini e si dirigono tutti lì, ma mentre batto sul legno vedo che sono così tanti che li devo schiacciare, così provo ad ucciderne un po’ con i piedi, ma quelli che schiaccio e che stanno nella parte inferiore del pannello sono bianchi e assomigliano a delle grosse mandorle sbucciate, infatti quando li schiaccio si trasformano in una specie di salsa bianca, come della farina umida.
Insieme a mia madre, diamo fuoco ai pannelli e muoiono tutti.
Il soggetto fa una sfida con se stesso, anzi col suo falso Sé, esibizionista e indifferente, in grado di apparire normale, nonostante la frammentazione, evidenziata dai “miliardi di insetti” che riempiono la sua casa.
La sfida si svolge nella casa al mare della sua infanzia, periodo nel quale è comparsa la frammentazione come disturbo del pensiero innanzitutto inconscio. Il soggetto dimostra i tentativi messi in atto per fronteggiare questo disturbo del pensiero.
Dapprima la noncuranza, poi l’alternativa delle tre cuffie, tra cui egli sceglie quella nera, che a differenza delle altre due (cuffie colorate dagli affetti) gli sembra priva di buchi, impenetrabile come l’onnipotenza del pensiero e l’idea delirante.
Poi, ecco la comparsa di un’oralità cieca (alcol e fuoco) ma sufficiente per contrastare la frammentazione e costituire una prima organizzazione del pensiero (le cornici), nella quale si realizza una coesione iniziale, che in seguito porta alla scomparsa degli insetti e alla loro trasformazione in mandorle e nella “salsa bianca” (contenuto del seno materno).
Infatti, la madre compare di persona nel sogno e nella vita reale del soggetto, come elemento determinante di coesione del Sé e unico fondamentale legame di attaccamento.
A questo punto, è possibile tentare di sistematizzare l’approccio empatico al sogno che proponiamo, cominciando a chiarire che cosa intendiamo per Pensiero Onirico.
Nel sogno, il soggetto realizza una sintesi espressiva e rappresentativa che ci porta in contatto col suo pensiero (Pensiero Onirico).
La caratteristica del Pensiero Onirico è di esprimersi in:
1) forma narrativa, attraverso immagini composte a partire da ricordi autobiografici.
2) forma estetica, attraverso connotati configurativi, quali forme, dimensioni, colori, presentati in maniera allusiva e rappresentativa.
3) forma affettiva, attraverso tonalità emotive e vissuti più o meno in sintonia con la rappresentazione.
L'importante interrelazione tra pensiero e sogno, valorizza ancor di più il livello mentale di secondo ordine che abbiamo definito Pensiero Inconscio e offre un punto di répere per il lavoro interpretativo della PPI. Ovviamente, così come il sogno si presenta in una personalità non patologica, esprimendo il Pensiero Inconscio del sognatore, allo stesso modo si presenterà in una personalità patologica, esprimendo il disturbo del pensiero inconscio del sognatore.
Il lavoro interpretativo dei sogni costituisce parte importante della seconda fase terapeutica detta Fase Interpretativa della PPI (Lago, 2006).
Attraverso la valutazione e verbalizzazione del Pensiero Onirico, è possibile individuare e curare, sia il disturbo del processo di mentalizzazione (azione terapeutica che inizia già nella prima fase della PPI, detta Empatica), sia il difetto di fantasia, come specifica difficoltà legata a eccesso di insicurezza nelle relazioni di attaccamento e conseguente difficoltà a sintetizzare nuove immagini mentali, espressione di una attività di pensiero personale (ivi).
In appoggio a queste affermazioni, non c’è solo la ben nota posizione bioniana ma altri punti di vista, ad es. in campo cognitivo.
[...]prenderemo in considerazione la teoria di Foulkes (1985). Il sogno è considerato una forma di pensiero, in quanto richiede di elaborare le conoscenze acquisite nella veglia, conoscenze che possono avere natura concettuale (semantica) o personale (episodica).
Esso viene prodotto a partire da un’attivazione diffusa e più o meno casuale di elementi di memoria, priva di scopo e in assenza di input proprio-ed esterocettivi. Anche le immagini oniriche più insolite vengono costruite trasformando ciò che è archiviato nella base di conoscenza del sistema cognitivo.
Foulkes, adottando una concezione simbolica della conoscenza, spiega gli aspetti di novità del sogno come ricombinazioni degli attributi elementari che costituiscono le unità di base della conoscenza concettuale.[...] (Carassa, Tirassa, 2004).
Approccio empatico al sogno: Piano Narrativo
Procediamo, quindi, con l’approccio empatico al sogno con una prima considerazione sul materiale onirico, riguardante il Piano Narrativo (PN), il quale comporta l’osservazione del percorso narrativo, riguardante il senso della comunicazione non verbale.
Non è tanto importante che i passaggi siano logici ma che abbiano un senso compiuto dall’inizio alla fine.
Quando il PN è evidente, esso risalta in modo chiaro e permette di connettere la rappresentazione onirica con significati presenti nell’attualità mentale del soggetto (Pensiero Inconscio).
La constatazione di un PN scadente evidenzia sempre un disturbo più o meno grave del processo di mentalizzazione.
Donna, 30 anni.
SOGNO 7
Sono insieme a mia madre nella casa dove ho vissuto fino a 18 anni.
Siamo nel salone, dove c’è un vaso di piante, abbastanza grande, pieno di vermi: alcuni bianchi piuttosto grandi, altri marroni, ancora più grandi, quasi come serpenti.
Per uccidere quelli marroni non basta tagliarli a metà, occorre tagliargli la testa.
In questo sogno, il piano narrativo sembra all’inizio ben organizzato. Esprime il contesto dell’attaccamento, la relazione con la madre nei primi diciott’anni.
Poi, in pieno salone, l’emergenza di elementi protomentali, ossia emozioni non mentalizzate ed esperienze traumatiche non elaborate, che spezzano il racconto, quasi un’invasione di campo da parte dei vermi, la traccia di una frammentazione psicotica dalla quale si esce separando la testa dal corpo.
Non basta, infatti, una semplice scissione, occorre che il pensiero raggiunga una completa astrazione.
La stessa donna riesce a essere più organizzata nel piano narrativo di un altro sogno, pur evidenziando lo stesso disturbo di mentalizzazione.
SOGNO 8
Una mia amica che sta a Londra si trova in una camera da letto matrimoniale e non riesce a dormire, perché ha tanti fantasmi intorno.
Inizia a gocciare sangue dal soffitto e la macchia diventa sempre più grande.
All’inizio il sangue cade in terra, poi dentro una ciotola che io raccolgo col sangue dentro.
Quando poi sposto la ciotola il sangue che era dentro diventa latte.
Il racconto, nel quale la componente affettiva è molto presente, con l’insonnia, i fantasmi e il sangue che cade in terra dal soffitto, si snoda tuttavia in termini narrativi, fino a concludersi in maniera meno disperata e disorganizzata.
Una ciotola, infatti riesce a contenere emozioni e affetti non mentalizzati (il sangue), restituendo la capacità di succhiare (intuire), cioè cogliere qualcosa di meno astratto e inquietante.
Vediamo un sogno nel quale la coerenza narrativa è mantenuta dall’inizio alla fine. Uomo, 25 anni.
SOGNO 9
Vado in macchina con tre amici nella casa di campagna di Laura, ragazza che mi piace.
Là trovo lei e un’altra ragazza, che somiglia a una bella brasiliana che lavorava con Fazio a “Quelli del calcio”.
C’è un ragazzotto un po’ intraprendente che le gira intorno.
La brasiliana si sdraia a pancia sotto e mi chiede di spalmarle la crema sulla schiena.
Non mi faccio pregare, e procedo, finché la ragazza si alza e mi mostra i seni nudi.
Allora, arriva il ragazzotto che si mette a baciarla
Dopo, mi trovo a parlare con la madre di Laura, che sembra una psicologa e mi dice che sono stato violento, non con la figlia ma con me stesso, perché non ho provato un approccio con Laura.
Infatti, mi fa capire che avrei dovuto tentare un approccio anche se Laura mi avesse respinto.
Infine, mi ritrovo sulla macchina e penso che ritornerò a casa con gli amici.
Lo sportello si apre e invece sale Laura e proseguiamo da soli.
Se togliamo il lieve sdoppiamento tra Laura e la bella brasiliana, tra se stesso e il ragazzotto intraprendente, il senso corre lungo il sogno a indicare il conflitto del quale già nel racconto onirico il sognatore è consapevole, fino a farne interprete una madre psicologa che lo spinge a non tirarsi indietro e agire il suo desiderio per la figlia.
Basta questa onestà con se stesso e l’acuta capacità di individuare la propria “violenza”, per concludere il sogno con una splendida sintesi dialettica.
Il PN costituisce il primo elemento del sogno, la sua struttura organizzata, l’impianto fondamentale che sostiene e inquadra gli altri elementi (affettivo ed estetico) non meno importanti ma altrettanto necessari, i quali costituiscono l’intera rappresentazione, più simile allo scenario teatrale in tre dimensioni, in cui alla componente visiva si aggiunge quella corporea e soggettiva, che a quello filmico che consente una visione più piatta e distaccata.
La scena del sogno, l’idea di messa in scena, suggerisce un’organizzazione spaziotemporale dell’inconscio, strutturalmente diversa da quella della realtà oggettiva.
Le vicissitudini del sogno hanno uno svolgimento, come la vita diurna, ma all’interno di un ritmo e di una grammatica che possiedono un andamento e una logica propri, come in una pièce teatrale.
Lo spazio in cui si svolge questa avventura onirica, come lo spazio della scena teatrale rispetto a quello piatto dello schermo cinematografico, è tridimensionale, ovvero corporeo.” (Resnik, 1982)
Solo il PN pienamente sviluppato ed espresso riesce a includere gli altri elementi (la componente affettiva e l’espressione estetica), che altrimenti (vedi sogni 6 e 7) proporrebbero una dissociazione sempre più marcata fino alla frammentazione (psicotica).
Approccio empatico al sogno: Espressione Estetica e Componente Affettiva
La scena onirica può essere rappresentata in tanti modi che esprimono la capacità di disporre nello spazio gli elementi della realtà che il soggetto ha vissuto ed elaborato mentalmente.
Il senso dello spazio e l’Espressione Estetica (EE) sono manifestazioni del grado di integrazione mente-corpo del soggetto e delle vicende che portano ad intaccarlo.
L’immagine corporea, infatti, è attività mentale, cioè richiede l’integrità dell’attività di pensiero e la continua sintesi di elementi protomentali in immagini mentali. (Lago, 2006)
Nella scena onirica, gli affetti sono presenti come Componente Affettiva (CA) del PN e dell’EE. Gli affetti sono i derivati delle emozioni.
Quando il soggetto li avverte nella coscienza vengono chiamati sentimenti. Più gli affetti sono integrati nella scena onirica e coerenti con essa, più sono i segni dell’avvenuta mentalizzazione (Lago, 2009).
Meno sono integrati (angoscia, incubi, risvegli improvvisi, atmosfere raccapriccianti, catastrofiche, di terrore, di persecuzione, di violenza, etc.), più esprimono crisi con carenza o blocco del processo di mentalizzazione.
Vediamo alcuni esempi essenziali. Uomo, 50 anni.
SOGNO 10
C’è una situazione che coinvolge tutti gli abitanti di questo pianeta: uomini, animali, piante, perché l’acqua è sparita.
L’acqua della terra, ghiaccio, nuvole, oceani non ci sono più.
Il mio pensiero, col quale mi sono svegliato è stato: ma quando torna l’acqua?
La catastrofe emerge come una constatazione da parte del sognatore, rassegnato a non vivere gli affetti se non come sbalzi d’umore nella cronicità di un grave disturbo di personalità.
Gli elementi della natura, che potrebbero comporre un PN espressivo e sufficiente a delineare la propria esistenza, sono assenti.
L’acqua, fonte di vita, è sparita e il mondo è fermo. Il pensiero del risveglio restituisce al sognatore la sua umanità.
Un pensiero, appunto e non una domanda semplice. Una domanda che contiene una risposta e una speranza: l’acqua che c’è stata può tornare, non si sa quando, ma forse tornerà.
In un altro sogno, questi contenuti si riveleranno meglio, in corrispondenza con una fase del disturbo che vede la persona più adeguata e organizzata nelle relazioni familiari e sociali.
SOGNO 11
Vedo 4 donne tutte nude su una spiaggia, distese a prendere il sole.
Due hanno un colorito sul giallo acceso, le altre due sul grigio terra.
Io dico che le prime due sono cinesi e le altre due giapponesi
Una delle due sul grigio mi si avvicina, quasi vis a vis.
Poi, cambia scena e vedo un giardino illuminato dal sole. Quindi mi sveglio.
Nella breve scena onirica, gli elementi del sogno (PN, EE, CA) si riconoscono e si integrano, pur rivelando la struttura di personalità polarizzata tra il grigio (coscienza e concretezza) e il giallo (emozioni e affetti).
C’è una spiaggia, col mare (l’acqua è tornata) e il sole. La nudità delle donne, immediata e disinvolta, è attenuata dal loro essere esotiche e distanti.
Fino a quando una di loro entra nell’area intima del sognatore e gli presenta il volto. Tanto basta a illuminare un giardino che forse era privo di luce e di calore.
Vediamo un altro esempio di come EE e CA richiedano la presenza di un PN che costituisca la trama relazionale indispensabile perché il Pensiero Inconscio possa esprimersi in maniera consistente. La donna (30 anni) dei sogni 7 e 8.
SOGNO 12
Cammino in una città che in quel momento è deserta.
C’è una musica classica bellissima e piove.
Arriva una ragazza dai capelli rossi e volo via insieme con lei, ma nel momento in cui arrivano delle persone “reali” scendo di nuovo giù.
Il contesto è la desertificazione della città, nel senso dell’assenza di persone “reali”. La splendida musica e la pioggia fanno da cornice al volo immaginario alla Chagall, che unisce la sognatrice a una parte di sé più calda (capelli rossi) ma “irreale”, tanto che il volo non regge l’arrivo del mondo umano reale.
Confrontiamo questo con un altro esempio dell’uomo (25 anni) del sogno 9.
SOGNO 13
Sto su una nave con mia zia, il figlio e un gruppo di miei compagni di scuola.
Vengo a sapere che c’è una tromba d’aria in arrivo.
Sono preoccupato ma poi non arriva.
Qualcuno dice che però era un falso allarme e che prima o poi arriverà.
Allora, decido di attaccarmi all’albero maestro con delle corde, così sono sicuro di non essere trascinato via.
La tromba d’aria passa ed io rimango attaccato, ma dicono che è solo una prima ondata.
Scendo sul ponte della nave e vedo che i miei amici si sono rifugiati in una cabina, cosicché li esorto ad uscire per non essere trascinati via dal vento.
Ci rifugiamo a poppa, dove c’è un marinaio esperto che ci fa riparare dietro una grande scialuppa di salvataggio, dicendoci di tenerci stretti alle funi e rassicurandoci, data la sua grande esperienza di tempeste.
La tromba d’aria passa e quasi non ce ne accorgiamo.
In poche battute, il PN presenta i passaggi adeguati, atti a esprimere la situazione esistenziale del sognatore, affetto da crisi d’ansia somatizzata e non ancora uscito da una lunga adolescenza.
Novello Ulisse, il sognatore affronta la tromba d’aria (ansia somatizzata) che crea problemi più per la sua imprevedibilità che per la sua consistenza. Sullo sfondo, una figura materna (la zia) e i compagni (il gruppo dei coetanei nel quale è socialmente integrato).
Una figura paterna (il terapeuta), marinaio esperto, consiglia salde funi e robuste scialuppe di salvataggio, invece di comode cabine alla mercè del vento. Così la tromba d’aria passa e non fa danni né incute paura.
Il racconto è ricco di EE e CA perfettamente inserite nella trama narrativa, cosicché il Pensiero Inconscio del sognatore emerge lineare e consequenziale senza schemi, sostenuto da elementi rappresentativi (metaforici) e di fantasia.
Dall’empatia alla tecnica
Le premesse dalle quali siamo partiti non possono che spingerci al tentativo di organizzare i cardini di un lavoro sui sogni, che tenga conto delle attuali conoscenze scientifiche.
Fosshage (1997) elenca almeno sette regole tecniche sulle quali non possiamo che convenire:
1) “…ascolto molto attento dell’esperienza del paziente durante il sogno…ivi”.
E’ la chiave empatica che abbiamo proposto. Ciò che interessa è il sogno come esperienza, non il doppio binario del manifesto e del latente.
2) “…ampliare l’esperienza del sogno del paziente…ivi”.
Il sogno va scandagliato, spingendo il paziente a prendere atto della sua produzione e del significato che al racconto onirico egli stesso attribuisce, come lo sarebbe uno sceneggiatore con il suo script.
3) “…le immagini del sogno non devono essere tradotte, ma devono essere comprese nel loro contenuto metaforico e tematico…ivi”.
Se il sogno è Pensiero Inconscio, non merita traduzione ma espressione verbale che lo spieghi in un linguaggio diverso da quello delle immagini. L’idea di una scena onirica approntata dal sognatore ci introduce ai significati e ne rivela l’idea conduttrice, che muove i temi e i personaggi sulla scena.
4) “…conclusa l’elaborazione dell’esperienza onirica, essa venga collegata alla vita reale…ivi”.
Chiarito che la mente non è isolata, non è possibile credere che il sogno, in quanto produzione attuale si riferisca sempre ad arcaiche situazioni infantili o tormentati conflitti con le istanze inibitorie del soggetto. Il qui e ora del contesto relazionale della psicoterapia riguarda anche la produzione onirica, in quanto processo di mentalizzazione inconscio.
5) “…l’interpretazione del sogno viene costruita…da paziente e analista insieme…ivi”.
Il lavoro comune di ricerca di significato, per la presa in considerazione del Pensiero Inconscio del paziente, è un chiaro segno della consapevolezza dell’interpretazione come costruzione comune.
6) “…il contenuto del sogno non deve avere sempre un riferimento diretto col transfert…ivi”.
L’idea di insinuare la relazione transferale in ogni produzione inconscia del paziente è un vecchio ferro del mestiere del carisma in psicoterapia (Lago, Tropeano, cit.). Occorre non sminuire l’esperienza onirica del paziente e quindi non ricondurre ogni comunicazione inconscia al transfert, contribuendo a ridimensionare così anche l’egocentrismo del terapeuta.
7) “…i sogni possono essere utili nell’analisi o nella psicoterapia psicoanalitica di qualunque paziente, indipendentemente dai suoi disturbi…ivi”.
Smentita la diceria freudiana che il lavoro sui sogni potesse minare il funzionamento della mente precaria degli psicotici. E’ dimostrata, nei disturbi gravi di personalità, l’importanza della funzione organizzativa del Pensiero Inconscio, ai fini di favorire il processo di mentalizzazione implicito ed esplicito (Lago, 2009).
Sequenza narrativa all’interno di una serie di sogni
Concludiamo con una serie di sogni i quali, presi uno per uno presentano vari disturbi del processo di mentalizzazione, ma, presi in sequenza, rivelano un movimento che riempie di significato il lavoro psicoterapeutico.
La donna dei sogni 7, 8 e 12.
SOGNO 14
In una stanza vuota, con il pavimento di maiolica (bianca e celeste), c’è una ragazza in piedi che parla con me e mi mostra le teste mozzate di due donne.
Poi, intorno vedo affiorare tanti vermi e cerco di schiacciarli.
SOGNO 15
Intorno a me ci sono tutte le persone che conosco e tanti steccati.
In ogni steccato c’è un cavallo, in uno steccato diverso ci sono le persone.
SOGNO 16 (tre giorni dopo)
Vedo tanti granchi neri sotto di me. Hanno gli occhi bianchi.
Camminando ne schiaccio alcuni.
SOGNO 17 (dieci giorni dopo)
Vedo due lumache.
Sto per mangiarle tutte e due. Poi, mi accorgo che una è viva e la lascio stare.
SOGNO 18 (circa un mese dopo)
Mi vedo lunghe rughe accanto agli occhi, e queste rughe sanguinano.
SOGNO 19
Mi accorgo che posso vedere nitidamente senza occhiali né lenti a contatto.
Al sogno 14, come al sogno 7, siamo in piena frammentazione psicotica, che emerge dopo la verifica delle due teste tagliate (se stessa e la madre). I vermi “affiorano” e schiacciarli è un’inutile fatica.
Al sogno 15, il distacco è assoluto, così come la polarizzazione. Vita animale e vita umana definitivamente isolate da steccati non solo culturali.
Al sogno 16, il distacco è ancora presente, come pure la frammentazione. Il nero della corazza dei granchi fa da contraltare al bianco di occhi privi di pupilla, i quali non potranno mai vedere. Tuttavia, la sognatrice ne schiaccia solo alcuni, lasciando intendere che la cecità non sia assoluta.
Al sogno 17, i granchi neri sono già divenuti due simpatiche lumache. Una sola è viva e non sarà distrutta dalla bocca sadica della sognatrice.
Al sogno 18, la sognatrice finalmente si osserva e nota lunghe rughe intorno agli occhi evidentemente aperti. Dalle rughe, solchi aridi, scorre un sangue che esprime una vita e un calore insoliti.
Il sogno 19 conclude la sequenza in modo essenziale ed inequivocabile. Quegli occhi adesso vedono. La frammentazione è finita, anche se la nitidezza è solo esame di realtà corretto e potrebbe sfociare in grave depressione se rimanesse troppo lucida.
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