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INTERVISTA di Annarita Faggioni
12 febbraio 2018
1) La fragilità umana è uno dei fili conduttori di tutta l’opera. Come essere consapevoli della propria fragilità?
La fragilità umana si sperimenta innanzitutto nelle relazioni interpersonali. E di quest’ultime si parla essenzialmente nel libro. In primis la fragilità di Martha Weber, la fuoriuscita, la quale però non tenta di nasconderla e questa sua sincerità le permetterà di superare l’impasse che la vede vittima della setta di una presunta psicoterapeuta. Effettivamente, in tutta l’opera avviene il confronto continuo tra chi ammette e chi nega la fragilità umana. E se vogliamo c’è anche chi, lo psicoterapeuta positivo, Livio Spada, si propone di impedire che la fragilità umana diventi patologia mentale.Sul come essere consapevoli della propria fragilità il libro ha molto da dire. A partire da Martha ma anche da altri personaggi come Laura, che invece la propria fragilità la agiscono e la subiscono come un destino. In effetti, il termine fragilità ha un suo opposto che è l’invulnerabilità, quella che l’eroe mitico Achille aveva fino al tallone. Ezio, il figlio di Adele Lussari, la psichiatra carismatica, sembra avere questo vissuto di invulnerabilità, che fa presto a rivelarsi una mistificazione.Purtroppo è figlio di una madre intenta ad alimentare il proprio personaggio mitico e incommensurabile, e incapace di ammettere la propria e altrui fragilità, considerandole come attacchi alla sua persona. Anche la tragedia di un suicidio è visto da Adele come l’attacco violento alla sua creatura, il “grande gruppo”, così ripetendo l’errore di una presunta chiesa che lascia i suicidi fuori dai cimiteri.Nel libro, coloro che riescono ad essere consapevoli della propria fragilità lo fanno rispecchiandosi negli occhi di un’altra persona, quasi sempre disposta a condividere il loro vissuto di carenza e incompletezza. Nel libro, ma anche nella vita, hanno la meglio coloro che della fragilità hanno consapevolezza. Non è una questione morale, è una questione di intelligenza! Nel mondo naturale e in quello umano il primato spetta a chi è consapevole non a chi è privato del sapere di sé.
2) Perché la scelta del giallo per raccontare il rapporto tra paziente e psicoterapeuta?
In psicoterapia, si gioca con la vita delle persone, non meno che sul lettino di una sala chirurgica. C’è qualcosa di drammatico e rischioso che si attraversa lungo il percorso di una terapia psicologica. Se non fosse così, la relazione terapeutica somiglierebbe alle altre comuni relazioni non terapeutiche e viziate dalla coazione a ripetere gli stessi schemi e le stesse dinamiche. Anche se potrebbe essere difficile rintracciarlo del tutto, c’è un nesso tra gli eventi che accadono nel setting della psicoterapia e la realtà esterna. Le ripercussioni esterne si vedono e si sentono, anche se il nesso di causalità è più flebile e oscuro rispetto a ciò che accade nelle relazioni comuni. Il risvolto giallo nel finale del libro vuole dimostrare che la categoria del mentale assoluto non esiste e che il presunto dominio delle personalità altrui, l’autoreferenzialità di chi si incorona genio o essere al di sopra della media va spesso a sbattere con situazioni imprevedibili che smascherano o abbattono una presunta supremazia culturale nata dall’ambizione o dalla necessità di nascondere un fallimento umano.
3) La psicoterapeuta carismatica, nel romanzo, si crea una schiera di seguaci, quasi come una “setta”. Vuole raccontarci un po’ la storia del suo libro, soffermandosi in particolar modo su questo punto?
E’ una questione di Storia. Bisogna conoscerla e raccontarla nel modo giusto. La psicoterapia nasce e si sviluppa staccandosi dal grosso filone del misticismo e della magia. Riesce a fare questo solo in epoca positivista, ossia alla fine dell’Ottocento. Colui che delinea i tratti della psicoterapia moderna è Sigmund Freud, il quale rifiuta di fare l’ipnotista e si propone di far riflettere su se stesse le persone con la loro testa. C’è una corrente storica che vuole negare questo merito assoluto di Freud (il quale ha commesso molti errori nella sua teorizzazione, pur partendo col piede giusto) ed equiparare la psicoterapia alla suggestione o a qualcosa di mistico e spirituale. Abbiamo visto che i sostenitori del misticismo in psicoterapia si sono fatti sedurre dalle idee pre-freudiane sull’influenzamento di un individuo sull’altro, e hanno finito per diventare figure carismatiche, più simili a profeti che a sereni ricercatori della mente. Adele Lùssari, la psicoterapeuta carismatica del libro, definendosi allieva di Mesmer (il medico viennese che poco prima della Rivoluzione francese voleva chiudere le facoltà di medicina per imporre a tutti i malati le sue mani, ritenute magnetiche) smaschera la sua appartenenza all’epoca pre-freudiana e riporta i suoi seguaci al medioevo e alle credenze mistiche, più o meno condite con termini pseudoscientifici. Ecco perché la disputa tra Adele Lùssari e Livio Spada, lo psichiatra moderno e anticarismatico, fa diventare appassionanti le pagine del libro, indicando al lettore due idee ben diverse di psicoterapia, dimostrate ampiamente nei dialoghi e nella dialettica diretta tra i due. Resta da chiarire perché intorno alla Lùssari si forma un gruppo carismatico, ossia una vera e propria setta, e intorno a Spada c’è solo il risultato di un buon lavoro in psicoterapia, ossia la separazione e la solitudine del terapeuta che ha ormai svolto il suo compito. Ma questo potrebbe essere il tema di un prossimo libro.
4) Nei suoi libri, non è la prima volta che parla di questo argomento. Alla luce anche della sua attività di psicoterapeuta, come “si racconta” Giuseppe Lago?
Mi racconto meglio con le mie opere scientifiche e non. Però voglio sottolineare che il mio è un percorso formativo ed esperienziale. Non credo e, se permettete, irrido alla presunzione dell’uomo speciale o di quello “unto dal signore” che avrebbe il dono del carisma o la struttura del genio fin dall’infanzia. E’ chiaro che si tratta di mistificazione e agiografia d’accatto, inventata da seguaci e discepoli o da essi mediata dalle roboanti auto-narrazioni del loro guru. La mia esperienza si è formata in quasi quarant’anni di pratica professionale. Tutto quello che so lo devo a coloro che mi hanno permesso di entrare in contatto con la loro mente. Ho letto tanti libri ma le mie idee scaturiscono dall’esperienza. Il piacere è di scoprire che anche altri abbiano notato le stesse cose oppure le osservino da altri punti di vista. Senza soggezione o schiavitù culturale. Mi piace la psichiatria, perché somiglia alla prima medicina ippocratica, quando il medico doveva far diretta esperienza della fisicità del malato, in mancanza di strumenti. Ancora noi psichiatri, se vogliamo far bene il nostro mestiere dobbiamo “mischiarci” con l’umanità confusa dei nostri pazienti e portarceli dietro verso la sanità mentale, che vuol dire opporre riflessione ad emozione, senza uccidere quest’ultima. Ecco, scrivere un romanzo su queste cose significa integrare emozioni e riflessioni. In ciò mi riconosco, anche nella vita privata.