Domenica, 08 Aprile 2018 21:42

Intervista a GOCCE DI SPETTACOLO

 
 
INTERVISTA di Silvestra Sorbera
7 febbraio 2018
 
 
 
“La Fuoriusicta” è l’ultimo romanzo del dottor Giuseppe Lago che oggi ci racconta del suo percorso di autore e medico. Un testo interessante con moltissimi risvolti sociali.
 
Dottor Lago, ci racconta del suo romanzo?
 
Nasce dalla mia esperienza e si configura come un’allegoria, totalmente sfrondata da elementi biografici o personali, fino a quando riesce a vivere di se stessa. Faccio l’esempio del mio primo romanzo Sogni da Navigare. Narra la storia di un giovane veneziano in epoca precolombiana. Egli naviga nelle galee di Venezia e andrà in Portogallo a conoscere le caravelle, scappando dalla Repubblica e dalle sue leggi.
 Mi sono ritrovato per intero in questo personaggio, ma la logica della storia così speciale mi ha portato a studiare per mesi la storia delle navi di Colombo e degli sconosciuti inventori delle caravelle. I personaggi del libro, benché riflettessero me stesso e le mie conoscenze dell’epoca in cui ho scritto, hanno così cominciato a vivere una vita propria e a intrecciare una trama che neanche io all’inizio immaginavo. Lo stesso mi è successo con La Fuoriuscita . Ho avuto un’ispirazione in diverse persone seguite in psicoterapia con un passato di setta psicologica alle spalle. Non appena sono nati Martha Weber o Adele Lùssari, o Laura o Marinella o i tanti altri numerosi personaggi presenti nel romanzo, ognuno di loro mi ha costretto a rispettarne la coerenza e i miei spunti, compreso me stesso, sono venuti meno, totalmente schiacciati dalla consistenza dei personaggi.
 
“La Fuoriuscita” può avere molteplici significati. Fuoriuscire da una famiglia, da un gruppo, da un lavoro. Come si rappresenta oggi?
 
Fuoriuscire da un gruppo carismatico. Cioè, avere il coraggio di lasciare un contesto avvolgente e rassicurante nel quale non si è costretti con la forza fisica ma con una modalità che ha a che fare con la dipendenza. Si entra affascinati da una serie di promesse e vaghe speranze, che nel caso della psicoterapia si materializzano nella cosiddetta “guarigione”. Come se ci si aspettasse il “miracolo” di una modificazione totale della propria personalità, accettando il modello rigido e ambizioso proposto dal guru o capo carismatico di turno. Questa promessa di cambiamento è falsa e antiscientifica ma affascinante, proprio perché viene evitata da coloro che la psicoterapia la fanno in modo serio. I veri psicoterapeuti non parlano di “guarigione” (non ci sono malattie ma disturbi) ma di equilibrio, ovvero capacità di gestire se stessi a partire dalla conoscenza profonda della propria storia e delle proprie qualità. Il cambiamento non è una metamorfosi miracolosa ma un processo di maturazione che dipende da una capacità riflessiva acquisita nel setting della psicoterapia. Naturalmente, la metamorfosi è più entusiasmante quando proposta in un “grande gruppo”, e si caratterizza come l’obiettivo che si raggiunge uniformandosi ai dettami del medesimo gruppo carismatico diretto dal suo guru. Fuoriuscire, quindi, corrisponde con la caduta di aspettative mitiche e con la ripresa del contatto con la realtà circostante meno accattivante ma assolutamente reale.
 
Quali sono gli eccessi della psicoterapia?
 
La psicoterapia va prima definita, altrimenti ognuno si lascia prendere dall’idea dominante o fuorviante del momento. Psicoterapia è una relazione alla pari tra un esperto e una persona con difficoltà psicologiche. L’esperto, che non deve presentare le stesse difficoltà psicologiche del paziente, aiuta il paziente a riflettere su se stesso e si serve di tutti gli strumenti a disposizione, pensieri, angosce, sogni etc. L’esperto non sta al di sopra del paziente, nel senso che non gestisce un sapere assoluto né lo minaccia con diagnosi di patologia nell’intento di costringerlo a cambiare. L’esperto affianca il cliente e lo aiuta a realizzare se stesso sulla base delle proprie aspettative e non sulle aspettative che un esperto può avere, a cominciare dal modello di persona sana stabilito dalla scuola di pensiero cui l’esperto stesso fa riferimento. Ebbene, tutte le volte che la psicoterapia non viene gestita da esperti che rispettano l’umanità del paziente e la sua storia, abbiamo gli eccessi. In questo, Adele Lùssari non si fa mancare nulla. La sua gestione del carisma la porta ad essere l’asse del suo “grande gruppo”, intorno al quale ruotano gli altri in una condizione di totale soggezione culturale e personale. L’innesto poi, della componente politica nella prassi di Adele, non fa che rinforzare il suo carisma, allontanando da lei i sospetti di una totale autoreferenzialità e collocandola nella sfera dei ribelli che danno spazio alle classi più deboli o a un quanto mai mistificante concetto di collettivo. Potrei dire che nel descrivere gli eccessi di Adele ho effettivamente spiegato quelli che io credo siano i più comuni errori in psicoterapia.
 
 
Come coniuga la sua professione con la scrittura?
 
Sono più di trent’anni che parlo ai miei pazienti, cercando di raccontare la loro vita, per riorganizzare la loro personalità. Trovare le parole per descrivere in modo efficace una persona e la sua storia è come scrivere un racconto che avvince e affascina. Certo, ho sempre avuto un talento narrativo, fin dall’infanzia. La mia professione, però, mi ha permesso di entrare nelle vite degli altri e di poter restituire loro la stima di sé senza giudizi o schemi, semplicemente raccontando l’insieme che su un piano narrativo acquista senso, anche quando il risvolto è drammatico o traumatico. Parlo molto nel mio lavoro, tanto che più di un paziente a volte me lo fa notare. Sarà perché non accetto i racconti sconnessi e frammentari e vorrei subito sistemare in senso narrativo la quantità di dati che mi capita di ascoltare dalle persone.
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